Il mio consiglio di oggi è di fare attenzione a cavalcare con il vostro umorismo gli svarioni che fa la gente per due motivi. Intanto come fate ad avere la certezza che uno non dica una cosa volutamente sbagliata? Ai tempi delle freddure su Internet, poi, le persone si esprimono in questo neo-volgare in cui rivoltano le parole, enfatizzano congiuntivi deliberatamente cannati, usano anglicismi pronunciati secondo i suoni del nostro alfabeto e via così. Mescolati agli errori veri e propri, certo. Anche questo è un modo per tener la lingua viva, chissà. Per dire: mi sono burlato per anni di uno zotico che chiamava un oratorio qui vicino “Maria Immatricolata” e mi vantavo di questo piccolo aneddoto con tutti, fino a quando ho scoperto che la sua storpiatura era voluta. Me lo ha fatto notare lui stesso una volta rimarcando la desinenza anomala quasi a farmi sapere, in modo assai formale, che voleva farmi sapere che sapeva che io non sapevo che lui sapeva quel era la versione giusta della divinità a cui l’oratorio in questione è dedicato. E c’è chi ancora racconta come proprie esperienze di questo tipo. Calamari per alamari o sodomizzare per somatizzare, tanto per fare due esempi. Il famosissimo patè d’animo. E poi questi pretendono anche che uno rida e rincari la dose. Stamattina una ragazza in treno si è letteralmente capottata sul sedile raccontando di aver sentito con le sue orecchie una collega dire che un capo d’abbigliamento faceva “potage” con un altro, io ho ascoltato tutto ma non mi sono sbilanciato perché io stesso dico che in un accostamento di colori è bene fare “panpan” tra due elementi per dire “pendant”, ma ogni tanto noto che quando è presente uno che non mi conosce mi osserva perplesso. L’altra che era il referente di quella conversazione ha rilanciato con l’amica wedding planner a cui è stata fatta la richiesta di un set di bicchieri di un certo tipo perché sono più “boheme”. Che non si capisce bene se intendesse bohèmienne o, visto l’argomento, si riferisse ai cristalli di Boemia. Insomma, andateci piano perché oggi la gente non è più così indotta. Mica come mia nonna, che chiamava tutti i giovani alternativi e contestatori “bitter”, nel senso di beat, che non so se lo facesse apposta oppure no, ma mi faceva ammazzare dal ridere ogni volta.
Un’amica storpia con grande gaudio ogni parola possibile (e questo é costato fatica supplementare alle figlie nell’imparare a parlare correttamente). Ma ascoltare una storpiatura é una cosa, leggerla é un’altra. Piú difficile coglierne l’intenzione. Nel dubbio, in effetti, é meglio astenersi.
Anche io spesso mi diverto a storpiare l’italiano. Modifico le parole, creo neologismi che poi dimentico. Svariate volte sbaglio i congiuntivi appositamente (“a questo punto io andrebbi” va per la maggiore) e non solo quelli.
Su questo stesso blog, non più di qualche giorno fa, ho scritto una cosa come “A me questo post mi piace tanterrimo”.
E in effetti mi è venuto il dubbio che forse, a ben pensarci, dovrei smetterla di fare la cretina con chi non mi conosce. Anche perché una volta un tipo veramente credeva che io non sapessi usare i superlativi.
la gaffe è dietro l’angolo…
tanterrimo è ammesso, comunque 😉