guida facilitata all’ascolto di quello che si ha dentro

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Mi trovo per puro caso a pranzo con un duo di quelli che vorrebbero essere uno di quei gruppi eterei che negli anni 80 incidevano per la 4AD, con le voci femminili rese oniriche da tonnellate di mandate di effetti e sotto pure, chorus e riverberi a confondere la scarsa dimestichezza con gli strumenti musicali. Lei che sfoggia un caschetto liscissimo che arriva poco sotto il mento, bianca come un cadavere e poco meno che vegana. Lui con la barba curata e il dolcevita scuro e si vede che lui vorrebbe essere molto più intimo con lei che solo accompagnarla mentre canta, laddove è solitamente così, una legge da che mondo è mondo: dietro a una grande vocalist c’è sempre un grande strumentista illuso e destinato a perderla. Fermo restando che la loro simpatia è pari al cadavere di grillo che ho appena trovato nei vegetali di cui è farcita la piadina, il che comunque ne attesta la provenienza da orti veri e non immaginari, in questo momento stanno fornendo ai commensali lezioni di teoria musicale underground.

Che consiste, in parole povere, nel primato dell’esecuzione armonica il meno priva di gradi identificativi possibili sul resto delle scale. In pratica – cerco di utilizzare il linguaggio meno tecnico possibile – fosse per il barbetta che dispensa perle di arrangiamento e composizione, non eseguirebbe nulla più della tonica e della quinta, lasciando apertissimi gli accordi per consentire agli ascoltatori il massimo dell’interpretazione a seconda del loro stato d’animo e di quello che provano in quel momento. Quindi se a qualcuno il vostro pezzo fa – chiedo scusa per la schiettezza – andar di corpo, è perché in quello scheletro sonoro di totale mancanza di punti di riferimento l’ascoltatore si è come perso in una casa in costruzione di cui sono visibili appena le componenti strutturali in cemento armato e cercando la stanza principale ove lasciarsi rapire dall’atmosfera rarefatta del suono ha aperto, dal momento che non si capisce nulla, il bagno, e trovandosi lì ne ha approfittato per scaricare il proprio giudizio. Senza nemmeno ancora l’allaccio alle fognature, ovviamente.

Che disdetta. Perché tutti i gradi delle scale – quelle musicali, la metafora è finita, andate in pace – sono orpelli di cui liberare il proprio pubblico d’elite, uso ad ascoltare musica commerciale con tutte le settime e le none e undicesime e tredicesime, per non parlare di una terza maggiore o minore che è l’equivalente di definire il sesso di una persona. Siamo tutti puntini da riempire al completamento del nostro universo sonoro, per farla breve. Ma per farla ancora più breve andate a cagare uno e una due, che nemmeno ai tempi dei This Mortal Coil vi avrebbero fatto pulire i cessi di uno studio di registrazione di periferia.

Ma questa cosa mi è rimasta qui. E per dimostrare a me stesso, e poi qui nell’esperienza di blog che sto avendo grazie soprattutto a voi che siete sempre così numerosi, che pur nel mio cinismo e autoironia tutto sommato non sono un insensibile, vi farà piacere sapere che ora cerco di soffocare la mia rabbia prendendo a stirate una cesta piena di almeno una decina di giorni di bucato, che m’ammazzo se l’amico novello gotico e la sua musa che imita Björk persino nella marca di assorbenti fanno qualcosa in casa. Passeranno il tempo a tagliare frequenze dai rumori per renderli il meno riconoscibili possibile e così farcirli al meglio della loro nauseante personalità iperproteica.

Perché a me piace essere aiutato dai particolari in tutto quello che leggo e che ascolto, perché essere assordante verso il prossimo con la propria visione del mondo è un lusso che al massimo possono permettersi gli adolescenti nelle settimane precedenti il Natale, come questa. Io già solo stirando una camicia da notte fucsia di taglia 10A come sta scritto sull’etichetta,  illustrata con qualche volatile notturno disegnato sul davanti – ed è facile capirne la provenienza – è come se mi prendessi cura del prossimo, come se stessi accarezzando la proprietaria e l’odore che il vapore estrae fuori dal tessuto, mischiandosi con l’ammorbidente, è una testimonianza a caldo del bene che ci facciamo reciprocamente, che lo so che è esagerato perché voi due siete due ologrammi cyber fuori tempo massimo e noi siamo uno l’emanazione dell’altro e che non possiamo essere messi sullo stesso piano, però a furia di parole e suoni e gradi della scala armonica ci siamo costruiti un impero, che detta così fa molto americano e forse è quello a cui qui in Europa non siamo abituati. Pensiamo che sia tutto sottinteso, e a furia di sforzarci di sentire i sommessi sospiri, il nostro udito che era tra i più raffinati ce lo siamo giocati, e a stento ora leggiamo il labiale quando qualcuno ci dice le cose come stanno, che quella cosa che proviamo dentro è proprio quella lì che volevamo che fosse. Quella vera.

5 pensieri su “guida facilitata all’ascolto di quello che si ha dentro

  1. Io muoio dal ridere 😀 😀 😀 questo post è magnifico!!! (a dirti il vero l’ho capito sì e no per il 30%), ma il tuo stile è fenomenale 😀

  2. … no, è che in fatto di musica, insomma, sono “sull’ignorante andante”, indi… finchè mi parli di riverberi e chorus ci arrivo, poi… il resto mi sfugge, ma va bene così. L’articolo è magnifico comunque 🙂

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