Ci dev’essere una diminuzione della professionalità della forza lavoro su molti fronti, se per attività diverse e più o meno di concetto sono impiegate almeno due persone. Una che la esegue e l’altra che controlla, senza far nulla, che la consegna sia portata a termine nel più corretto dei modi e, probabilmente, nei tempi messi a preventivo. Un fenomeno a cui è facile assistere in strada: il manovale in tuta da fatica che spruzza il liquido che annulla gli effluvi di street art dei giovani ribelli suburbani e il suo diretto responsabile dietro, con le braccia conserte dallo zelo, intento a osservare il grado di cura con cui l’opera di damnatio memoriae si sta eseguendo. O il pilota dietro i comandi della macchina per schiacciare l’asfalto, che probabilmente ha anche un suo nome tecnico ma non è proprio il mio settore, che percorre in un senso e nell’altro la fresca gettata di materiale rovente e il geometra con le scarpe anti-infortunistiche su completo in misto acrilico che spera che il risultato dell’operazione sia il più compatto possibile.
E se hai un bar che dà sulla via che oggi ha le sembianze di un cantiere seppure temporaneo, e si spera, lo spettacolo non è nei ghirigori dei cappuccini, sulle prime pagine dei quotidiani free press, nei sorrisi all’orientale dei gestori o nella televendita su cui è sintonizzata la gigantesca tele appesa al muro. In piedi, sorseggiando un caffè, si guarda fuori il miracolo della specie umana impegnata a redimere il proprio habitat secondo i canoni di convivenza universalmente accettati. Una signora che preferisce consumare al tavolino armeggia con il suo smartcoso, lo spegne e lo riaccende a ripetizione memore della regola numero uno dell’uso popolare dei dispositivi elettronici. Alla fine ha vinto la macchina sull’uomo, perché la si vede arrendersi e avvolgere con rassegnazione gli auricolari intorno al telefono e a riporlo in borsa.
Ma è la coppia di colleghi che sta scegliendo la farcitura del cornetto a rubare la scena, almeno per quanto riguarda i contenuti. “Non ho mai vinto niente in vita mia, nemmeno un gratta e vinci” sta raccontando la donna all’uomo che ha optato per una pasta con la crema. “Così ho partecipato a un concorso di Radio Popolare, hai presente?”. Lui non ha presente, vista l’espressione con cui risponde, tanto che lei si sente in dovere di fornirgli maggiori dettagli. “Ma sì, ci sono speaker troppo sfigati, e alla mattina presto fanno un programma di musica progressive. A me, tra parentesi, fa schifo. Ma si vede che ha pochi ascoltatori. Hanno indetto un concorso, in palio c’erano due biglietti per un concerto a Padova”. Lui interviene dopo il primo sorso di latte macchiato. “Non dirmi che hai vinto tu?”. E lei tutta entusiasta: “Sì, li ho vinti io! Il concerto è degli Area e del Banco del Mutuo Soccorso, i biglietti costavano sessanta euro. Ma so già che alla fine spenderò un casino per un viaggio per andare a vedere un concerto di musica che non mi piace, non so nemmeno chi siano quei gruppi”.
D’altronde, cosa non si farebbe per essere protagonisti, anche così di striscio. A chi non verrebbe la voglia di essere toccati dalla fortuna lì, nello stesso bar dove si ritrovano prima di una giornata di lavoro anche gli operatori di un noto network televisivo e sparano aneddoti a ripetizione sui conduttori di un reality di punta come se quello fosse il vero terno al lotto, godere dello strascico della notorietà altrui. Ma è facile tornare con i piedi per terra. Dal portone carrabile a fianco dell’esercizio pubblico esce uno squilibrato sbraitando improperi contro un avversario che vede solo lui. L’uomo ce l’ha proprio a morte, i passanti si spaventano e cercano riparo proprio nel bar mentre gli avventori escono fuori incuriositi dalle grida a vedere che succede. Il folle che ha l’aspetto assai trasandato veste un maglione di taglia molto abbondante, che gli ricade sulle spalle mettendo in evidenza l’estrema magrezza, accentuata anche dal viso scavato, la barba non lunga ma incolta e i capelli appiccicati sulla fronte. Un tizio, con la tazzina in mano, rientra nel bar e ragguaglia un amico, che è rimasto dentro, su un particolare importante. Quel maglione di lana a grani grossi e a righe orizzontali grigio e nero, era molto popolare negli anni ottanta. Lo si indossava quando ci si voleva dare un tono di autorevolezza e mettersi qualcosa di più elegante rispetto all’abbigliamento preferito, nessuno avrebbe mai detto allora che sarebbe potuto diventare un capo da dress code di risulta. Si ricorda di averne avuto uno proprio così molto tempo prima, di averlo prestato a un amico che aveva freddo, una volta, e che non gli era mai stato più restituito.
quand’è che ti pigli 6 mesi di aspetattiva e scrivi un romanzo? no perché leggerti è qiulacosa
Le cose sono due: o dalle tue parti c’è un’umanità davvero interessante oppure i tuoi occhi (e la tua tastiera poi) hanno il dono di cogliere l’essenza delle cose
mi piacerebbe (l’aspettativa, non il romanzo, e comunque mi manca una trama decente)
be’, in quanto a fauna c’è l’imbarazzo della scelta
eppureamme piace, ‘sto plus.
grazie aaqui, che poi mi devi ancora spiegare il tuo nick con le due a iniziali
è che mi chiamo alessandro aquilano, boh, mi pareva dovuto, ma mi rendo conto che può non piacere. neanche a me. ma ormai.
sul fatto che non scrivi un romanzo perchè non hai una trama decente, beh, io ti leggerei anche con una indecente.
forse di più.
nono, è molto bello ma non avevo collegato al nome, poi le due a attaccate sembrano un nome nordico tipo Aaro. Trame indecenti tipo le cinquanta sfumature di qualcosa? Fammici pensare…