Fatemi una cortesia, perché capisco e apprezzo il vostro impegno e gli investimenti che effettuate nel tentativo di intrattenermi, ma davvero, non è il caso e ne farei volentieri a meno. E non è difficile riconoscere chi stanzia in spazi pubblici infastidito dalle voci in scatoletta, dalle musiche hollywoodiane e dai colori sgargianti che fanno a cazzotti con il retrogusto dei cornetti ripieni di conservanti riscaldati a cazzo nei microonde dei bar dei cinesi. Perché tutti siamo lì a guardarci intorno e scovare tracce di piacere individuale pronti a tacciare di faciloneria questo o quella solo perché reagisce alla pioggia con gli stivali di gomma o contribuisce a spremere intere popolazioni nordiche con una compulsiva domanda di algide storie noir rischiando il tracollo da sovraproduzione o, peggio, l’esaurimento di ogni vena commerciale. Poi li vedi gli unici due sui quali la teoria delle affinità elettive potrebbe essere applicata con successo, un giovinastro vestito tutto di nero che segue incuriosito un suo idolo di serie B incontrato per caso, ugualmente monocromatico malgrado i segni dell’età sulla calotta cranica e sulle guance canute. E l’aspetto paradossale è che solo loro che potrebbero salvarsi vicendevolmente si guardano intimoriti, il giovane per lo sbigottimento e la sorpresa, il vecchio per il fastidio di essere riconosciuto e l’imbarazzo del dover spiegare al resto della gente la sua notorietà di nicchia, il suo essere stato una stella dell’underground di venticinque anni prima, la sua rabbia che non ha mai trovato bersagli se non dentro di sé. Non preoccupatevi per me, mi verrebbe da dire a quei bellimbusti inespressivi reclutati in un palinsesto pensato in economia per un target disattento, lasciatemi in pace, ché io non mi sono mai annoiato in vita mia, tantomeno da solo.