Una delle famiglie che abita al piano di sotto da quando è rientrata dalle vacanze sfoggia un nuovo zerbino all’ingresso che è impossibile non notare perché risalta per l’opposto dell’ospitalità. Un concetto che, così sui due piedi, non ricordo nemmeno come si possa definire. Inospitalità? Scortesia? Ma ci siamo capiti. Sullo zerbino risalta un vistoso segnale di divieto di accesso e, sotto, la dicitura “rompiscatole”. Divieto d’accesso ai rompiscatole, il messaggio è oltremodo eloquente e chissà se sono solo io a dare tutto questo peso a un articolo da poche lire comprato in saldo ai grandi magazzini. Magari era l’unico al 50% e, dovendone acquistare uno nuovo, il mio vicino di sotto avrà pensato che forse il senso di quel benvenuto, o, meglio, malvenuto, era persino esagerato per una famiglia che abita in un condominio di medio-basso livello come questo. Però, come accade spesso, il prezzo ha vinto sulla qualità e il compromesso tra offerta e gusto personale è stato immediato quanto decisivo. Oppure no, magari la famiglia del primo piano è davvero composta da persone che vogliono stare alla larga dagli scocciatori e hanno operato di proposito una scelta tra tutta una gamma di articoli per trovare quello che al meglio riassumesse in un simbolo una filosofia di vita. Ma stento a crederci. Intanto perché non passa sabato sera che non abbiano la casa piena di amici a cena. Poi perché in questo, come nella maggior parte dei condomini moderni, chi arriva all’ultimo livello che è la porta di ingresso all’appartamento ha già superato almeno un paio di selezioni precedenti. Citofoni, video-citofoni, in alcuni casi addirittura portieri e cancelletti al piano, nessuno al giorno d’oggi lesina più in sicurezza. Quindi le persone che strusceranno le loro scarpe infangate su quello zerbino dal contenuto perentorio potranno farlo perché qualcuno avrà già permesso a loro di intrufolarsi nella proprietà privata altrui, e al momento di suonare il campanello per superare l’ultimo ostacolo, leggendo giù in basso, potranno sentirsi dei privilegiati. Donne e uomini ben accetti e degni delle grazie dei loro ospiti (vi ricordo che è ospite sia chi ospita che chi è ospitato).
E da questo insieme di riflessioni, dato che qui dentro, negli spazi comuni, difficilmente penetra qualcuno di non residente fatta eccezione del personale addetto alle pulizie e dai militanti di Lotta Comunista, ho dedotto che forse quel messaggio di benvenuto, anzi, malvenuto, è rivolto a chi si trova già all’interno, a chi qui ci abita, giacché nessun altro potrebbe leggerlo. Gli invitati alle loro cene del sabato sera in primis, dato che rientrano nel loro ristretto entourage e con i padroni di casa probabilmente condividono la diffidenza verso gli sconosciuti. Restiamo noi, gli inquilini del palazzo. Siamo noi i potenziali rompiscatole indegni di suonare alla loro porta. E allora ho fatto un ulteriore distinguo, dato che anche nel mio palazzo nessuno sale le scale potendo utilizzare l’ascensore. Solo chi abita al primo piano come la famiglia dallo zerbino scostante sale e scende a piedi, e quelli del piano di sopra, il secondo piano, come me, che prendere l’ascensore per due rampe sembra un inutile spreco di luce e un primo ma determinante segno di resa alle comodità. Quindi siamo davvero in pochi a passare di lì, in pochi a leggere quel messaggio di benvenuto, anzi, di malvenuto, e tutto ciò mi sembra disdicevole nonché contrario alle più elementari regole di buon vicinato. Perché la propria disposizione all’accoglienza è un dato sensibile come la preferenza sessuale, la religione, a chi abbiamo dato il voto alle ultime elezioni, se nella nostra esistenza abbiamo mai seguito programmi televisivi condotti da Gianfranco Funari e quanto percepiamo di stipendio. Nessuno se lo scriverebbe mai sulla porta di casa, no? E, in caso di rompiscatole, il metodo più efficace è sempre l’intramontabile sistema di far finta che dentro non c’è nessuno, dopo aver controllato nello spioncino chi è che suona il campanello.
Zerbino, era il soprannome che mi affibbiarono i miei amici quando mi misi con la mia prima ragazza. Poi lei mi fece capire che ero un rompiscatole e mi son tolto dai piedi.
Per andare dai miei vicini, invece, serve un machete… E se arrivi vivo alla porta d’ingresso, sei il benvenuto.
Chi, davanti alla loro porta, si ritiene rompiscatole quindi desiste dal bussare? Forse i testimoni di Geova che qualcun’altro ha fatto entrare? O i vicini che hanno bisogno di un litro di latte? Non so, forse hanno dolo voluto essere spiritosi, ma a me paiono maleducati… A meno che siano loro a non poter uscire…
I testimoni di Geova in confronto ai militanti di Lotta Comunista sono meno che principianti.
io mi serve uno zerbino così, da qualche giorno.
Dalle nostre parti non passano; non ho metro di paragone.