Quello delle scie di personalità, a differenza delle scie chimiche, non è il frutto di un complotto masso-demo-pluto-giudaico delle multinazionali, ma si tratta altresì di un fenomeno facilmente comprovabile a patto di essere disposti ad ammettere l’esistenza e la rilevanza sociale di comportamenti talvolta lontani dal proprio modo di sentire. Attenzione però a non confondere le scie di personalità con il succo concentrato della stessa, ovvero quella fastidiosa funzione di secrezione del sé con cui molti marcano il territorio con l’intento di avvertire a sproposito della loro presenza, e sono pronti a spurgare i loro liquidi con l’intento di scoraggiare i potenziali usurpatori del primato immeritato di accentratori di attenzione altrui.
Perché ci si accorge delle scie di personalità come quando si lascia rapire da qualcosa di impalpabile quando una persona ci passa vicino e percepiamo quell’odore che, sezionato dal nostro impianto olfattivo, ci riporta a essenze che magari è anni che non sentivamo più ma che sono vivide nei nostri ricordi. La marca del profumo che ci ha inebriato al cinema e in un istante eravamo innamorati, il pane rustico cotto nella stufa che riusciva a svegliarci la mattina dal nostro sonno di bambini, la plastica delle copertine per i quaderni appena acquistate in autunno dal cartolaio. Tutto questo è molto proustiano.
Voglio dire, vediamo una persona e senza che dica nulla riusciamo a vedere tutto il suo mondo intorno perché l’aura che la segue lascia molto di sé ovunque. Spesso involontariamente, altrove con l’intento di adattare l’ambiente alla propria permanenza, il che riesce loro per natura e senza nemmeno uno sforzo eccessivo. Io ammiro questi portatori sani di essenza di sé soprattutto perché essi sono in grado di trasformare i propri spazi abitativi definitivi e temporanei apportando customizzazioni ai luoghi in cui esercitano la loro permanenza con minime emanazioni della loro personalità, che gli altri come me che purtroppo non beneficiano di questo superpotere guardano con inutile quanto incostruttiva invidia.
D’altronde, le scie di personalità non sono per tutti. Stiamo parlando di un dono la cui auto-attribuzione è impossibile, ed è facile smentire i fake. E che si tratti anche solo di un appartamento preso in affitto per un mese, uno spazio piccolo come l’abitacolo di una city car, una postazione minima di lavoro in ufficio ricavata da un modulo singolo in un open space sezionato in decine di loculi per impiegati, è semplice scovare le tracce del passaggio di chi beneficia di ciò anche a sua insaputa. Foto appese, il modo di ordinare le proprie cose, un quadro portato da casa, spostare una sedia e un tavolo dalla loro posizione originaria in un appartamento ammobiliato, tingere del colore preferito una rientranza in un muro e farla diventare una nicchia anche se lì ci si stanzierà pochissimo tempo, lo sfondo del desktop del pc aziendale. Il tutto in barba a chi pensa che l’aleatorietà delle permanenze nei luoghi non faccia valere la pena del lascito di un’impronta che prima o poi sarà da cancellare a chi verrà dopo di noi, o, peggio, chi pensa che cambiare ciò che si ha intorno a propria somiglianza poi ci faccia affezionare ai luoghi e, in caso di cambiamenti, ci ferisca inutilmente.
Qualche edotto di fisiologia risponderebbe che queste scie non sono altro che le tracce ferormonali che i viventi animali lasciano nell’ambiente. Questi ferormoni vengono percepiti dal nostro prossimo tramite recettori che si trovano nelle zone intorno alla bocca ed al naso. Diciamo che feci pure una tesina su questo argomento, anni fa… mah, come passa il tempo. Un saluto e ti voglio dire che è sempre un piacere leggere il tuo blog.
ma davvero? Mi sembra un argomento molto interessante. Dicci di più.
Ma no, dai che dopo divento pesante… Un saluto megaaa