C’è la volta in cui si incontrano gli uomini, ed è la casistica più frequente e in una gamma di orari più varia. Tutti insieme, tutti più o meno abbonati, un posto per ciascuno e un posto per la mercanzia nei sacchi neri e blu di nylon, quelli della spazzatura. E poi borsoni e zaini di volumetrie e peso inimmaginabile e li vedevi, in estate, trasportare tutta quella roba avanti e indietro, avanti e indietro fino allo sfinimento. Il nostro, perché come per noi è difficile distinguerli, per loro è lo stesso, capire se da quell’ammasso di lardo o quello sciancato tutto bianco e informe ti sei già fermato a proporre cappelli, teli da mare, collanine, libri di poeti africani, aquiloni e tutta la gamma di passatempi da spiaggia in plastica per bambini capricciosi. Loro invece mica si stancano. Tutta quella roba che sono chili alla mattina e probabilmente poco meno al ritorno, perché non abbiamo idea di quello che riescono a vendere. Le borse tarocche, i giubbotti che non sai che strada facciano, se dalla Cina a Napoli o viceversa passando per la casa di moda che comunque qualcosa ci guadagnerà da tutto ‘sto sottobosco di contraffazione, altrimenti il mercato più nero di tutti sarebbe già stato debellato come i coloranti velenosi degli alimenti. Poi passi per le strade e vedi questi temporary store sui marciapiedi e c’è un sacco di gente che si ferma e chiede, cercando di abbassare i prezzi e di portarsi a casa il capo griffato di dubbia scelta, probabilmente la penultima prima di finire all’outlet. E lo stesso mentre prendi il sole e vedi quello a fianco che per una manciata di euro vince il venditore per sfinimento e fa indossare con orgoglio alla moglie i Prada fasulli con le lenti di plastica che è già tanto se non ti rovinano gli occhi con le lenti di plasticaccia, ma con il ciclo di vita per cui sono stati fabbricati è già tanto che sembrino veri. Ci sono orari in cui sui treni ce ne sono davvero tanti e se capiti tra quelli giusti c’è anche da divertirsi. Trovi quello che tira fuori una chitarra e canta una versione contraffatta di “Stir it up”, con parole tarocche ma chi se ne importa, e il socio che rolla e nello scompartimento tu sei l’unico viso pallido che fuma (gratis) al ritmo di reggae.
C’è la volta in cui si incontrano le donne, ed è più facile che accada in particolari orari. L’andata più o meno all’ora di cena, tutte belle e intente nel rito del trucco e parrucco a ridere e a parlare con il loro modo incredibilmente sguaiato. Quelle già veterane, perché poi ci sono quelle più giovani o neofite della vita sulla strada che invece seguono il corso degli eventi con un’espressione di infelicità che non ha paragoni. Una differenza difficile da cogliersi al ritorno con i primi localissimi del mattino, tutte addormentate al buio che già loro, così scure, non si vede proprio nulla se non i vestiti sgargianti di alcune. E che poi uno che vive nell’occidente del mondo fa un ragionamento, e cioè che questa suddivisione di mestieri tra maschi e femmine dell’Africa che hanno qui sia un sottoprodotto della nostra economia. Con poco ti puoi comprare un surrogato di qualunque cosa, piacere compreso. Il che significa che se noi non avessimo determinate esigenze di consumo, dai capi in pelle al sesso a pagamento, probabilmente mancherebbero interi punti di riferimento della contemporaneità. Sapere che tutto è così accessibile e che tutto si può contrattare, tanto è finto.
L’offerta risponde sempre ad una domanda, per questo non ha senso punire chi offre ma capire perché c’è chi chiede. Finto lo è, per noi bianchicci italiani; meno finto è per loro…