Domenica pomeriggio d’agosto, devo essere l’unico a casa nel quartiere perché nelle pause tra gli sbuffi del vapore del ferro da stiro – le ultime incombenze prima della partenza per le ferie – fuori non si sente alcun rumore. La tentazione è troppo forte per non mettere un disco a un volume adatto all’occasione. Mentre i pezzi filano via uno dopo l’altro, che poi il bello dell’ascoltare i vinili è il fatto che dopo quattro o cinque canzoni bisogna girare il disco dall’altro lato, ogni tanto esco fuori sul balcone per vedere l’effetto che fa. E non è male, perché la musica invade gli spazi esterni fino all’esaurimento della sua portata e lì sotto, nelle vie adiacenti, un po’ si sente. Il che mi rende orgoglioso perché mi fa sentire il dj del momento. Addirittura spengo la vaporella che a lasciarla accesa inutilizzata consuma e scendo in strada, giro intorno all’isolato e in effetti dato che abito al secondo piano da lì si sente, eccome. Peccato non vi sia anima viva, sotto il solleone c’è solo un tipo strambo vestito da casa che svolge degli inutili test audiometrici sulla potenza del suo impianto hi fi. Ma poi la facciata del disco volge al termine proprio mentre mi decido a rientrare in casa e terminare la valigia, e a quel punto non è vero che subentra il silenzio che mi ero immaginato ci fosse. Da una delle villette più avanti si ode il commento a una gara olimpica, probabilmente una finale perché è l’ultimo giorno e non c’è più tempo per gare eliminatorie. Oro o argento, le possibilità sono limitatissime. Quest’anno mi sono divertito a seguirle in famiglia, mia moglie accesa sostenitrice dei velocisti e del nuoto, mia figlia appassionata di volley e di Bolt come immagino tutti i bambini, un po’ perché è imbattibile e un po’ perché fa ridere con il suo comportamento poco ortodosso. E anche io, che avrei voluto vedere la nazionale USA di basket ma alla Rai non si è vista.
E su quella telecronaca che non capisco cos’è ma che intanto cresce di volume sino ad avvolgere quel fermo immagine irreale che è la città in estate e a catturare la mia attenzione, penso alla prossima edizione dei giochi olimpici. Penso a scadenze come queste che sono così lontane tra loro che poi invece arrivano in un battibaleno e siamo tutti quattro anni più grandi, più adulti, più vecchi. Così appena rientro accendo anche io la tv e mi sento in sintonia con quel vicino di quartiere che non conosco ma che si diverte a seguire lo sport delle grandi occasioni. E faccio i calcoli sull’età che avremo nel 2016 e se Bolt sarà ancora il più veloce a Rio de Janeiro e che clima insopportabile ci sarà per gli atleti del nord Europa. Ma a me la ginnastica artistica – è quello che stanno trasmettendo in diretta – non mi entusiasma e poi mi viene in mente che devo finire di stirare e mi sovviene anche che stavo ascoltando un disco, prima di tutte quelle riflessioni. Spengo la tele, temporeggio ancora un po’ sporgendomi dal balcone, ma non si sente più nulla, forse il vicino si è stufato, troppo sport alla fine stanca, così ha deciso di spegnere la tv e aspetta che qualcuno, nelle vicinanze, metta un po’ di musica.
A Rio il clima dipenderà dalla data: se in agosto, lì sarà pieno inverno.
Ecco chi era quel tizio strambo, vestito da casa, che si aggirava per il quartiere. Mi sono persa le atlete ucraine per guardare lui che gironzolava sotto casa mia, che poi già facevo fatica a seguire la telecronaca perché un pazzo aveva messo la musica a tutto volume. Senz’altro un ragazzino sfuggito al controllo dei genitori…