Ho appena finito di fare merenda con un abbondante piatto di fave e salame, sento la soddisfazione snob di Lisa al telefono mentre mi mette al corrente della sua dieta fedele alla tradizione locale, cose che mangi nei posti più radical chic del centro pagandole un occhio della testa mentre c’è gente che di specialità di risulta accompagnate con il vino acido dei poveri che ti spacciano come vermentino biologico non ne vuole proprio sapere. Me l’immagino seduta in quella specie di agriturismo in città mentre mi snocciola a uno a uno tutti i suoi commensali perditempo, e il tintinnare di posate e bicchieri si alterna all’inconfondibile suono elettronico dello scatto che mi ricorda quanto mi sta costando quell’inutile reportage. Lisa ha un telefono cellulare che è uno dei primi modelli immessi sul mercato, un mega-parallelepipedo di plastica con l’antenna che sembra un walkie talkie e non è tanto più piccolo della cabina telefonica da cui la sto chiamando. E dire che la conversazione è chiara come un programma radiofonico in galleria, sono in un bar affollato che ha un posto telefonico pubblico e c’è un bambino che sta strillando perché dice che gli è entrata una mosca in un orecchio, mentre sua sorella si sta lamentando a voce alta di una storta presa a causa della pessima manutenzione dei marciapiedi lì fuori. Per non parlare delle imprecazioni di chi sta giocando a biliardo in fondo e la macchina del caffè.
Nonostante ciò mi sorprendo della mia lucidità con cui cerco di tagliare corto, chiamare con una scheda telefonica un cellulare costa un’esagerazione e quando metto giù e controllo il credito sul display che qualcuno ha cercato di liquefare con la fiamma di un accendino torno a pensare a cosa non si fa a volte per amore. Cerco di ricordare un titolo di un film in cui si parla di una storia tra due fidanzati di classi sociali differenti per rincuorarmi con un paragone, ma a parte un musicarello con Albano e Romina in cui Albano fa il povero e alla fine prende a pugni il pretendente figlio di papà che si è messo di traverso tra le loro vite non mi viene in mente nulla.
Una volta Lisa mi chiama e mi dice se mi va di seguirli, lei, tizio e caio per una passeggiata. Io capisco quattro passi in centro e metto le scarpe della domenica. Lei intendeva invece una camminata sulle alture, ma giuro che non l’aveva specificato, così ho fatto la figura di quello che si mette in tiro per andare per sentieri. E il problema si manifesta in tutta la sua gravità qualche giorno dopo perché sono stato invitato ad accompagnare Lisa a un matrimonio di una coppia di suoi amici, gente upperclass con cognomi da editori e uomini politici conosciuti sulle spiagge in via di estinzione del nord della Sardegna. Ho solo un completo fuori moda e di cattivo gusto acquistato a caso su insistenza di mia madre e almeno di due taglie in più per un’altra cerimonia, le seconde nozze di mio cugino che, per farvi capire lo scenario, sono state celebrate dal leader di una nota blues band del nord Italia che al tempo era anche assessore, presumo e spero per lui alla cultura.
Quando mi presento sotto casa di Lisa lei non si sforza di nascondere il suo disappunto sul mio look e sulla scia di un litigio furioso – “lo sapevo che avrei dovuto vedere prima cosa ti saresti messo!” – sto per salire in macchina per scappare da lì ma nel frattempo arriva l’altra coppia con cui faremo il viaggio. Non c’è scampo, sarò l’invitato messo peggio. La giornata è tutta in salita con i numerosi cliché del meno abbiente rozzo e inadeguato che si trova a condividere esperienze con l’alta società, avete presente quelle situazioni con l’etichetta, le posate, le smancerie, i nomignoli da animali domestici e i bicchieri da usare eccetera. Nel corso dei numerosi buffet e pasti che scandiscono un programma a sei zeri (siamo nell’era delle lire oltreché del doppino telefonico) mi rendo conto che la qualità delle portate non è proprio niente di che. Il vino invece merita. Ridono tutti, qualcuno inciampa negli abiti da sera, qualcun altro sbircia nel Rolex se si è fatto tardi, c’è anche la musica e le carampane sono le prime a cercare di muoversi a ritmo sotto lo sguardo standard dei loro mariti ingegneri.
La dinamica del ricevimento, organizzato in un castello con cappella annessa nei dintorni di Milano, culmina con il taglio della torta. Lo sposo e la sposa con le mani giunte sulla mannaia, il tavolo imbandito all’esterno, la musica di “Via col vento”, i fuochi d’artificio e le colombe, lì per lì li ho scambiati per piccioni, che vengono liberate sulla testa dei due sposini a loro rischio e pericolo. Lisa si è ammorbidita poi durante il giorno come le spalline del mio vestito, voglio dire tutto sommato io ero anche una delle cose meno kitsch viste in giro ma non lo si poteva dire. Comunque meglio non sistemarsi vicini in auto. Lei dietro con l’amica e io davanti con il marito, che avvia una conversazione difficile da seguire per via del suo alito che con tutto quello che c’era a disposizione ne è uscito fortemente penalizzato. Lui mi parla e non riesco a voltarmi dalla sua parte – per ridere dico spesso che avendo un naso di dimensioni spropositate ho anche un’ampia superficie destinata alla percezione sensoriale – ma questo non costituisce un deterrente alla sua voglia di chiacchierare. Poi dietro le ragazze si addormentano e poco dopo anche io. Mi cade la testa. Ogni tanto mi sveglio e la tiro su, un rallentamento o uno scossone della station wagon durante un sorpasso, e anche se ho perso il filo di quello che mi sta dicendo mentre guida cerco di arrivarci da me e di rassicurarlo con qualche parola attinente e messa nei punti giusti.