lo zen e l’arte di avere pazienza con i treni in ritardo

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Oltre a essere un Paese di allenatori della Nazionale e di Presidenti del Consiglio, e anche di eterni indecisi su cosa e quando alcuni nomi vadano scritti con l’iniziale maiuscola o no, siamo anche un popolo (questo sono sicuro che va minuscolo) di addetti ai trasporti pubblici ed è facile accorgersene se c’è gente come me o come chi ha anche un blog dedicato al pendolarismo che sarebbe in grado di scrivere un’intera bibliografia su cosa va e cosa non va. Soprattutto oggi in cui le Ferrovie dello Stato o Trenitalia o come diamine si chiamano ora hanno pensato di organizzare un incontro con alcuni influencer e, come si dice, di metterci la faccia. No, non sono stato invitato, lo sapete che non sono nel jet set. Ma di treni e di cose che succedono lì sopra ne potrei raccontare a centinaia. Ho viaggiato su locali per frequentare l’Università ogni giorno, ho trascorso una media di quattro ore in andate e ritorni quotidiani per anni tra Genova e Milano per lavoro prima di trasferirmi definitivamente nella metropoli fino a diventare un tesserato modello delle Ferrovie Nord con tanto di card di ultima generazione con chip integrato per acquistare l’abbonamento on line e attivarlo in stazione, in attesa che tutto si possa fare con il telefono. E giusto ieri io e centinaia di lavoratori come me siamo stati sballottati in Bovisa da un convoglio all’altro perché purtroppo alcune situazioni critiche, come il gelo e la neve che ormai non costituiscono più un’eccezione o i lavori su una tratta che moltiplicano la necessità di convogli sull’altra – ovviamente vista la stagione si trattava di questo – l’organizzazione lascia a desiderare. Capisco che si tratti di un sistema logistico di una complessità inimmaginabile mettere insieme vagoni e orari e binari e stazioni, ma a volte vien da chiedersi su errori ripetuti se l’obiettivo sia quello di prenderci per il culo. E, per quello che vedo, la differenza in positivo tra Trenord e le linee della compagnia statale sono più che evidenti, soprattutto sul trasporto locale e per quello che riguarda il materiale utilizzato. L’antidoto alla sofferenza da treno chiuso pieno all’inverosimile che non parte e non si sa il perché è la full immersion nella narrativa. Questo per non riflettere sulla somma del tempo perso in ritardi e treni guasti, che se fai il pendolare e provi a fare due conti non sono bruscolini. Carichiamo sulla tessera allora i punti-vita individuali, ce li facciamo restituire in bonus e vediamo di quanto si allunga la nostra permanenza qui?

8 pensieri su “lo zen e l’arte di avere pazienza con i treni in ritardo

  1. Che dire? a parte la lusinga di essere citata, io sono tra i fortunati pendolari che percorrono tratta breve su regionali che non hanno poi troppi problemi se non quelli di ritardare per dare la precedenza alle varie “frecce” già in ritardo. Ma anche così accumulerei qualche anno in più su questa terra … per quanto riguarda il gelo, in questo periodo lo prenderei come una manna; vorrei tanto qualche ghiacciolo sulle carrozze roventi…

  2. io prendevo un IC tutti i giorni da Milano per Genova alle 18 e qualcosa che veniva formato in Centrale e in estate il materiale era così rovente che l’aria condizionata iniziava a dare beneficio quando dovevo scendere. O al venerdì sera in cui oltre ai pendolari quotidiani c’erano quelli settimanali e in estate anche i turisti e il numero di vagoni rimaneva inalterato. Sono queste le cose che mi facevano impazzire, più che i ritardi.

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