Saper lavorare non significa solo saper fare il proprio mestiere, quello è dato per scontato quando una persona viene scelta in base alle sue competenze anche se sappiamo tutti, guardando le postazioni che abbiamo intorno, che non è sempre così. Voglio dire, ci sono quelli che sono stati assunti perché costano poco e magari non se la cavano così bene ma alcune imprese, tra lavorare così così e non poterlo fare per la penuria di risorse umane, rischiano la propria credibilità e scelgono la prima opzione. Saper lavorare vuol dire anche saper stare al mondo, laddove il mondo è il proprio ufficio e tutto l’ambiente che lo circonda fatto di clienti, fornitori, superiori, persone da gestire, personale addetto alle pulizie, auto aziendali, macchinetta del caffè eccetera eccetera. Un sistema di persone, cose e vegetali che abbiamo intorno e con il quale dobbiamo interagire utilizzando gli strumenti che il nostro background ci ha fornito. Famiglia, scuola, amici, palestra, piscina, sala prove, tutti i luoghi in cui abbiamo appreso come ci si comporta e come gestire noi stessi nei confronti di tutto ciò che si trova oltre la nostra superficie epiteliale.
Perché qualunque cosa tu faccia, anche solo in un singolo momento della filiera produttiva in cui sei impegnato occorre condividere ciò che si è costruito con altri. Anche in una situazione di totale autonomia, in cui si opera completamente isolati da tutto, alla fine la “cosa” la si dovrà proporre o vendere a qualcuno. Si tratta di un caso limite, perché invece nella norma ci si deve relazionare continuamente, ed è qui che alcuni individui, magari anche validi professionisti, mostrano i loro limiti, perché l’attitudine ai rapporti interpersonali è uno skill che non si impara, purtroppo. E mentre a scuola si può lasciare in secondo piano il proprio carattere, tanto viene legittimato dall’età e dalla consuetudine che va bene qualsiasi cosa purché il rendimento sia positivo, da adulti è importante sapersi sforzare un po’, riconoscere i propri limiti e ovviare alle lacune comportamentali con una parvenza di buona educazione e di buon senso.
Ma tali caratteristiche emergono con il tempo, sono difficili da cogliere in un colloquio, ed è un vero peccato, come potete immaginare, perché fanno la differenza. Non è possibile infatti mettere in secondo piano ciò che per alcuni sono solo dettagli ma che invece costituiscono parte integrante del quadro sul quale il lavoratore viene valutato, ed esempi ne potrei fare a bizzeffe. Storpiare i nomi dei clienti, non saper condurre una conversazione telefonica, non aver argomenti comuni per chiacchierare con terzi durante i tempi morti, passare il tempo a controllare l’iphone durante cene di lavoro, sottrarsi a tutte le occasioni in cui sarebbe sufficiente anche solo un sorriso per relazionarsi con il prossimo, saper comporre una e-mail, conoscere le basi della grammatica italiana, mettere insieme due parole in croce. Per non parlare dell’igiene personale e della cura di sé. Il lavoro, quando lo si trova, dev’essere una vita parallela, un sottoinsieme di quella ufficiale in cui, se non si possono indossare i propri panni abituali per manifesta incompatibilità ambientale, è necessario almeno mascherarsi da persona normale.
Io sono sociopatico ma mi lavo pure troppo, dicono. Per il resto, se seguissi il calcio sarei a posto in merito agli argomenti da conversazione. Purtroppo la domanda “Che libro stai leggendo ultimamente?” spesso non genera granché dialogo.
plus1gmt, gran bel post
speakermuto, gran bel commento
Nel mio lavoro la squadra è una cosa fondamentale anche se a volte sembriamo dei grandi individualisti.
Ciò che ci fa grandi non è solo il solo il saper fare ma soprattuttto il saper essere.
bellissimo post, che mi manda un pò in crisi perchè mi sento una freelance leggermemente sociopatica, poi c’è chi dice che sono disponibile e trasmetto serenità, e ringrazio queste persone di cuore… ma la paura di non saper mai di che chiacchierare nei tempi morti è quella più in agguato, non sono brava in queste cose perchè io stessa spesso preferisco il silenzio… hai ragione, hai ragione, e tutti dovremmo rifletterci su.
pa
qui vanno alla grande programmi tv e videogiochi, libri non pervenuti
anche qui sarebbe fondamentale, il guaio è che chi opera le scelte tiene conto solo della richiesta economica e non delle qualità individuali
Io ho alcuni “preset” di argomenti di conversazione, con l’esperienza credo di aver capito quali sono i temi di maggior interesse a seconda del tipo di persona e del relativo ruolo. Mi manca solo il calcio contemporaneo, di cui davvero faccio fatica a interessarmi, ma riesco a ovviare il problema sviando il dialogo verso tematiche collaterali.
Posso linkare questo tuo articolo in uno dei miei prossimi post? Se rifiutassi saresti perfido, l’ho cercato per mezz’ora!
e perché mai dovrei rifiutare, anzi ne sarei onorato 🙂