Non sei il primo che dice di invidiarmi l’aver trascorso un’ampia parte della mia vita in una città affacciata sul mare. Chissà quante volte sarai andato al tramonto a rilassarti camminando sulla spiaggia, chiudere gli occhi e ascoltare le onde che si infrangono sugli scogli, sedersi sulla sabbia e aspettare che acqua e cielo finiscano per confondersi l’un l’altro, seguire i voli dei gabbiani. A dirti la verità, mai. E faccio fatica a condividere l’idea romantica che tu e tutti gli altri che quando sanno che ho origini liguri si affrettano a commentare il salto in qualità negativo che ha compiuto la mia vita, avete dei luoghi in cui sono nato e ho vissuto, perché avere a disposizione una costa non significa essere alle Seychelles. E non è nemmeno il fatto che avere qualcosa di speciale sotto mano ne riduca il fascino. Ma non ricordo di aver mai pensato al mare – quel mare – in questi termini, un luogo in cui scaricare tensioni e liberare la mente. Anzi. A Ponente, poi, non c’è metro in cui il panorama non sia sgombro di ciminiere a strisce o navi da carico che transitano non così tanto al largo. Poi basta voltarsi e l’incuria con cui si è costruito a ridosso delle spiagge è più che esemplare, in quanto a cattivo gusto. A questo, in estate, si aggiungono i chilometri di stabilimenti balneari che si susseguono disordinatamente, di rado si trova un metro di natura non dico incontaminata, ma almeno non affidata a privati con concessioni commerciali da barzelletta. Insomma, a mettere i piedi nell’acqua al tramonto si corre il rischio di chiudere la giornata innervosendosi, quindi è meglio fare come fai tu, provare l’ebbrezza della riviera da milanese un paio di weekend ogni tanto, pronto a rimetterti in coda e tornare nella landa delle polveri sottili.
Quando lavoravo in Svizzera spesso finivo la mia giornata passando un po’ di tempo in riva al lago, prima di tornare a casa.
E’ un qualcosa che ora mi manca molto.