Ecco il vero dramma della modernità: non essere in grado di rendere al meglio i pezzi dal vivo. La differenza tra studio e live. Perché è facile avere tracce registrate e portarsi sul palco un macbook, che poi il macbook non ti si pianta mai ma poi se succede cosa fai? Il cantante si rivolge al pubblico dicendo chiedo scusa ma dobbiamo riavviare il sistema? Suonare così è un annoso problema perché ti blocca nella libertà di eseguire le canzoni come vuoi, sei legato al clic in cuffia e in molti casi alle strutture rigide. Ha senso sacrificare l’immediatezza tipica del rock dal vivo per un effetto che magari è l’elemento caratterizzante del brano? Ma non è solo questo, è anche un fattore stesso di suoni e strumenti tradizionali, parti registrate da musicisti e poi dal vivo eseguite da altri. Uno si aspetta che live la musica dia le stesse sensazioni invece ne fa provare altre ma magari non sono quelle che cercavi, e allora uno pensa che si stava meglio in cameretta ad ascoltare il disco anziché investire nel contatto diretto con il proprio beniamino da condividere peraltro con altre migliaia di persone. Vi faccio l’esempio di uno dei miei brani preferiti di Bowie che è Ashes to Ashes. Avete presente il solo di moog che è in coda al pezzo, un parte molto minimale e delicata che impreziosisce ulteriormente la canzone a partire da 03:53?
Bene, non riesco a trovare una versione dal vivo in cui quella parte renda allo stesso modo, perché suonata da tastieristi supertecnici che lasciano il loro inutile virtuosismo prevalere sull’estetica del pezzo in assoli eseguiti con timbri agghiaccianti. Sentite qui per esempio, a partire da 04:35. Farò ricorso in qualche modo all’autorità di competenza.
Hai ragione. A me capita spesso con le voci. Cioè, non pretendo che il live sia uguale spiccicato al disco, ma insomma, mi è capitato di sentire delle robe da sangue alle orecchie 🙂
concordo, una delle più belle tra le belle del Duca bianco.