Si riempivano la bocca con Kieślowski, un nome anzi un cognome altisonante che conferiva autorità solo a pronunciarlo. Il cinema di Kieślowski, il linguaggio di Kieślowski, il Decalogo di Kieślowski. In quel gruppetto di cinefili un po’ off Kieślowski costituiva un modello estetico, oltre che contenutistico, laddove lo specifico cinematografico superava l’eventuale implicazione politica conseguente. La Polonia, il dissenso, il papa, insomma esprimere un giudizio e prendere una posizione non era così semplice. Fino a quando si unì al gruppetto un tizio nuovo, era il figlio di un intellettuale di successo, uno di quelli che lavoravano per la tv quando lavorare per la tv era un mestiere da persone colte, quindi l’essere colto geneticamente lo posizionava come un possibile opinion leader interno, o comunque un referente autorevole. E alla prima retrospettiva su Kieślowski il nuovo entrato fu il primo a formulare una critica, netta e laconica. Kieślowski non mi piace, è borghese. I membri storici del gruppetto si guardarono dapprima interdetti, come adepti al caldo di una deflagrazione da bestemmia. Davvero è borghese? Iniziarono a chiedersi l’un l’altro, grattandosi il mento punteggiato dalla barba di qualche giorno, i capelli informi e in taluni casi già parzialmente mancanti. Kieślowski è borghese? Era la domanda che rimandava da uno sguardo all’altro, con sempre più convinzione, forgiando a martellate il punto interrogativo incandescente con la volontà ferrea quanto la materia prima di quell’incognita concettuale di raddrizzarlo fino alla forma verticale di un punto esclamativo. Kieślowski è borghese! finalmente disse uno. Confermarono pian piano gli altri. Si convinsero tutti. Finirono così le retrospettive su Kieślowski, nessuno lo nominò più, ci si orientò su registi più adeguati alla svolta politica, ma nessun cognome sarebbe mai riuscito a dare maggiori soddisfazioni e a generare espressioni di meraviglia e ammirazione negli altri come Kieślowski.
It’s in the water, baby.
di questi tempi 😉