E invece ho capito come ti saluteremo, quando il tuo mandato terminerà e noi saremo così scellerati da non prolungare il contratto a tempo indeterminato che ci lega a te per altri cinque, dieci, venti anni o almeno finché la tua post-politica non avrà risanato i fondamenti della vision di ognuno di quei gruppi organizzati che ora stanno seduti nell’emiciclo di fronte a te, alcuni dei quali composti da membri con serie difficoltà nel comprendere te e il team che hai scelto per farci risalire la china. Sappi che nessuno ci ha mai parlato così, e il tuo operare probabilmente sarà ricordato come il più rivoluzionario degli ultimi decenni. Stai sovvertendo un sistema, stai ripristinando dei valori, stai costruendo, almeno sul piano del senso comune. Ma noi non capiremo tutto questo, perché i simboli sono più appealing della sostanza, anche se si tratta di quella che non abbiamo mai visto perché ci hanno sempre e solo promesso nuove accezioni dei significati dei simboli stessi o, al massimo, qualche restyle grafico.
Così ho capito cosa ti diremo il giorno del commiato, e non sono stato il solo. Tutti noi abbiamo avuto l’illuminazione sentendoti parlare anche questa sera nel modo in cui avremmo voluto sentire parlare ognuna delle persone a cui è stata delegata, nel tempo, una qualsiasi risposta a una decisione comune. E quel giorno lì, quel momento che la componente pessimista e distruttiva (sempre la maggioranza) di noi purtroppo non riesce a non calendarizzare, avremo il coraggio di dirti che è finita, Mario. Devi rientrare sul tuo pianeta da quelli come te. Raccontagli di dove sei stato, racconta a loro di noi, digli che viviamo in un posto di merda e che abbiamo un modo di vedere le cose demenziale per la nostra ubicazione geografica, economica, storica. Puoi dirglielo pure, senza giri di parole, che siamo spacciati.