Lo sai, vero, che non sono mai riuscito a convincerti di qualcosa. A persuaderti anche solo a proposito di una sciocchezza sulla quale io ne sapevo di più, per non dire di cui ne ero competente, che magari era già il mio lavoro. E che questo gioco di far finta di assecondare per poi lasciar cadere nel dimenticatoio alla fine è diventato uno standard nei rapporti diretti e che ora che il tempo ha eroso elasticità ai rispettivi cervelli ha reso noi due bastioni contrapposti da cui non si percepisce nemmeno una deflagrazione se siamo al riparo, spalle al muro dentro, da una parte e dall’altra. In mezzo poco più che un’area dismessa da tempo, uno di quei posti che nascono già obsoleti prima ancora di essere costruiti e che rimangono lì, oscenamente esposti come monumento allo spreco di denaro pubblico. Noi invece abbiamo sprecato le occasioni di raccontarci, tu non sei stato abbastanza veloce da approfittarne prima, io abbastanza coraggioso da chiederti il perché dopo. Alla fine poteva andare anche peggio, potevo cadere nello stesso errore, per fortuna sono stato persuaso in tempo e ora ci ho preso gusto. Ne sono più che convinto.
Se la comunicazione è interrotta, posto che ce ne sia mai stata un’ombra, il confronto permane, a dispetto della sofferenza che produce e della sua sterilità. Permane dentro di noi dove in un angolo si rappresentano i pensieri dell’altro così come li abbiamo sempre conosciuti e si prosegue a relazionarsi con lui/lei anche quando fuori di noi non esiste più. Probabilmente, se lui/lei potesse immaginare il travaglio interno sceglierebbe di essere lasciato nel ricordo di quando ancora ci si poteva parlare attorno ad un tavolo.
Capirsi invece, per alcuni, appartiene solo alla sfera del desiderio.