Al banco delle informazioni la receptionist compie una torsione innaturale per mostrare alla coppia che si sta interessando alla proposta di corsi il depliant con tutte le combinazioni possibili di offerta, gli orari e i prezzi. Non le basta semplicemente ruotare di 180 gradi il foglietto illustrativo ma lo accompagna con il busto e la testa sporgendosi di poco verso gli astanti ma mantenendo piedi e ginocchia immobili. I casi sono due: o fa parte di una squadra di supereroi marveliani tipo i Fantastici Quattro o è una delle insegnanti di Yoga. Vista la competenza e il linguaggio fortemente tecnico la seconda opzione risulta la più credibile, inanella infatti una serie di termini a me incomprensibili al che mi chiedo come sia possibile rivolgersi così al pubblico, magari i due che ha davanti sono meno che neofiti e si stanno avvicinando al mondo della meditazione totale per la prima volta, ne usciranno così più confusi di prima. Ma la componente maschile della coppia sa il fatto suo, anche troppo. Interrompe l’interlocutrice ammettendo di aver praticato in passato diverse arti marziali, tra cui boxe thailandese e pugilato. Nella mia profonda ignoranza di tutto ciò che si trova più a oriente del Cremlino e della Pravda (ma onestamente prima del 1989) mi chiedo cosa accomuni la disciplina della meditazione (a pagamento) che così tanto appassiona mia figlia con il prendersi a cazzotti e pedate in faccia all’occidentale e non, ma non è questo il punto.
Mi colpisce la naturale aggressività con cui la persona che ora tiene in mano il listino della palestra, quel maschio alfa che conduce la conversazione dall’alto della sua perizia in sport di contrasto versus la ferma abilità con cui dall’altra parte la sua interlocutrice para tutti i colpi dando l’impressione di avere un vetro anti-proiettili davanti, come un impiegato delle poste al sicuro dai germi e dalla saliva del pubblico incattivito dalle code. Ora, la morale della storia dovrebbe essere che il bravo spettatore della scenetta, che poi riferisce tutto per filo e per segno sul suo diario online, vorrebbe essere permeato di quello strato di resistenza attiva agli agenti del male esterni, come l’inquilina di quella fortezza di equilibrio invisibile che rende vani gli attacchi del logorio della maleducazione moderna. No. Il mio plauso questa volta va all’antagonista, in questo caso l’animale da combattimento che si concilia con il mio desiderio segreto di essere un violento e un arrogante e menare, ma solo per giusta causa, sia chiaro, laddove i parametri della giustizia rientrano nei termini della nostra legge. Chiaro che non lo dico a nessuno, non vorrei deludere quelli che mi considerano un esempio di pazienza e apertura verso il prossimo. Il problema è che non so come e dove si apprenda l’aggressività, quella vera, che traspare anche solo a parole e che induce il prossimo a chiudere lì il discorso per non rischiare lo scontro, anche quando chiedi solo delle informazioni e senti bisogno – discutibile o meno – di delimitare il tuo perimetro minimo di sicurezza, superato il quale si attiva la reazione da usurpazione di titolo, e allunghi un ceffone e la cosa si chiude lì.