schiacciata dal destino

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Nelle fila della squadra locale milita una piccola fuoriclasse, oddio piccola nemmeno tanto, a quell’età sono ragazzine già sviluppate e quando si cambiano la maglia perché è dello stesso colore delle pallavoliste avversarie sono già pudiche e si voltano dall’altra parte rispetto al pubblico. L’abilità della campioncina, la media bravura delle compagne e di conseguenza la forza dell’intera squadra sono debilitate però dalla numero 11, che non è che sia proprio così scarsa, ma si vede da qui, dal gradino più in alto degli spalti (tutti quelli che vivono con ansia le prestazioni sportive dei propri pargoli e i semplici visitatori che sono lì per vedere le atlete più grandi della società in cui è iscritta la propria figlia) che è timida. La numero 11 vive un dramma duplice: la prestazione sportiva in pubblico la mette in forte imbarazzo, tant’è che impedisce a genitori parenti e amici di seguirla persino in casa, ma soprattutto l’agonismo per lei è una prova troppo forte, una sfida in cui lei perde in partenza adesso ma probabilmente arriverà sempre seconda tra due partecipanti per sempre. Gli avversari lo sanno, sanno anche che il coach la mette in campo perché nelle competizioni dei piccoli giocano tutte, anche se si tratta di un campionato a tutti gli effetti non importa chi vince o chi perde, l’ebbrezza dello scontro la devono provare tutti. E nei pochi minuti in cui la numero 11 entra in campo, non appena la battuta passa agli avversari, è un bombardamento sulla posizione che ricopre. E non è giusto, è vincere facile, è anti-sportivo. Lei non riesce a respingere le battute sparate al centimetro dalla capitana degli avversari. In quei pochi minuti in cui la numero 11 è nel sestetto in campo, la squadra ospite mette a segno una sfilza decisiva di punti, aumenta il divario e si candida a vincere la partita. E probabilmente sarà sempre così in tutte le partite di tutti i campionati, finché non cambierà qualcosa. O la numero 11 vincerà il suo blocco da prestazione o getterà la spugna e cambierà sport. La selezione della specie, vero? Non dev’essere nemmeno facile essere un allenatore, conciliare le brame di vittoria con i diritti di chi paga l’iscrizione e, giustamente, ha diritto a tutto quello che lo sport offre. La divisa, gli allenamenti, le partite. Le vittorie, le sconfitte, la responsabilità. Io però, dagli spalti lassù in cima, questa sera  – e sono certo che lo scriverò in un post – sono tutto per la pallavolista con la maglia numero 11, e in totale empatia mi auguro che quella partita abbia una svolta e si risolva, come la vita della mia temporanea beniamina, in un sereno ed eterno pareggio universale.

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