Mia figlia gioca tuttora con la sua collezione di animali di plastica, riproduzioni molto curate (e anche non propriamente economiche) che ha accumulato in anni di regali, feste e compleanni. Si inventa storie soprattutto con i cuccioli, non esagero ma ne avrà una trentina. Si mette da sola in cameretta o sul tavolo in sala, e la cosa più divertente è ascoltarne i dialoghi, ogni specie ha la sua voce che ricorda un po’ il verso che quell’animale fa realmente. Quando il verso dell’animale è riconoscibile. Già con gli gnu o con l’okapi iniziano le difficoltà, lei fa dei grugniti e io non mi oso a chiederle che verso fanno davvero, per non fare brutta figura, non sminuire la mia autorevolezza, non incentivare la sua pignoleria e lasciare prevalere l’immaginazione. Già le proporzioni tra i diversi modelli lasciano a desiderare, pur essendo molto ricercati nei particolari, e se l’animale della prateria può interagire con un pinguino imperatore su un tavolo di gioco, tanto vale che faccia il verso che vuole.
Così il gioco fila via liscio fino a quando mi concentro proprio sulla drammatizzazione e i dialoghi di quelle storie inventate, quando colgo un verso che mi colpisce proprio perché molto diverso dai soliti, a suo modo riconoscibile ma difficilmente associabile alla natura. Sento i dialoghi, battute come “siamo demoni” pronunciate con l’inconfondibile timbro di Regan MacNeil. Guardo meglio, e noto un suricato che contende il dominio di una grotta fatta con una coperta sul divano a un capibara, entrambi mossi dalle mani della regista, mia figlia. Ora, chi mi conosce (ma spero anche chi mi segue qui) sa che giammai proporrei la visione di un film come “L’esorcista” a una bimba di 8 anni. Senza contare che lei, come suo padre, non è certo l’essere più impavido del mondo, e che la mia visione di soprannaturale si esaurisce al massimo con le previsioni del tempo, e allora piuttosto meglio le dimensioni parallele di Dumbo e dei suoi elefanti rosa. Quindi da chi abbia imparato a fare quei versi e chi le abbia insegnato quella storia è tutto da scoprire. Un piccolo incidente di percorso, è sufficiente spiegarle che imitare quella voce roca può avere ripercussioni sulla gola. Ed è bastato poco per andare a fondo e ottenere le informazioni del caso: vengo a sapere che si tratta di una delle macchiette preferite di una compagna di classe, che avendo un fratello maggiore già grandicello è esposta a programmi oggettivamente poco adatti.
Si sa, la paura attrae i piccoli, anche mia figlia è appassionata di storie che fanno venire i brividi, ma poi i meno temerari devono fare i conti con il buio, i mobili che scricchiolano, i rumori improvvisi, i vicini che tirano lo sciacquone in piena notte. Assimilare un personaggio controverso come Linda Blair va oltre la curiosità per le peripezie di Scooby Doo o gli esperimenti dei figli degli Addams o la porta magica di Coraline, cioè sapere di una bambina a 8 anni che imita alla perfezione una scena horror, ma di quell’horror brutto, mi ha lasciato perplesso. Senza contare il disappunto per aver divulgato la gag a un uditorio comprendente mia figlia. Non vi dico il mio spavento nell’aver assistito alla sua interpretazione, dal vivo.
Quando avevo sette anni, al mare con la mia amica alessandra, ci raccontavamo l’esorcista un giorno sì e l’altro anche.
Se stavo a casa da sola non avevo mai paura.
Ora invece ce l’ho.
Che brutta roba la presa di coscienza dell’esistenza
già 🙂