c’era una volta un re

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Le facce terrorizzate dei dittatori uccisi fanno paura, come se riprendessero vita nella foto e cercassero di vendicarsi con maggior ferocia proprio per il torto subito, l’unico, quello decisivo. E se volessero riunire intorno a sé il loro entourage, guardie e leccapiedi e sicari, tutti con quegli sguardi increduli che hanno gli uomini nell’istante in cui capiscono che l’istante successivo moriranno per morte violenta, e, una volta eliminati i loro giustizieri, volessero continuare a seminare sangue con chi gli ha fatto la foto o il video della loro esecuzione, e quindi tutti quelli che l’hanno vista o l’hanno segnalata agli amici? C’è la prima foto della serie dei dittatori uccisi, quella che per capire di chi si tratta devi capovolgere il libro su cui è stampata, o ruotare il canvas di centottantagradi gradi con Photoshop se maneggi la versione digitale. Poi Ceausescu, anche lui con la moglie. Il penultimo è Saddam Hussein, stretto da un cappio, e oggi l’esemplare più recente, la figurina di Gheddafi. Non c’è da preoccuparsi, sono stati uccisi e basta. Sono tutte facce che hanno gli occhi della paura della morte, la disperazione che assurge a protagonista della storia, uomini condannati perché non potrebbe essere altrimenti, una trama che si chiude con una semplice sequenza di titoli di coda prima della parola fine, mai più letale e documentata di così.

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