che si fugge tuttavia

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Quando ero bambino i giovani mi stavano sul cazzo. Li vedevo nelle foto di classe di mia sorella con la barba e i baffi già a sedici anni e pensavo che palle, non voglio diventare giovane, io i giovani credevo fossero diversi da così: più giovani nell’aspetto, non già adulti così presto. Poi si riunivano tutti a casa mia a studiare filosofia e mi rendevo conto di quanto fossero pallosi e pedanti mentre si riempivano la bocca di paroloni ed esalavano nuvole di fumo fino ad appestare il salotto. Allora, mi dicevo, meglio gli adulti.

Poi sono diventato giovane io, e i giovani mi stavano ancora sul cazzo. La maggior parte, eh, perché mi davano dello sfigato, ma non era colpa mia se ascoltavano musica di merda – Vasco Rossi su tutti – e passavano il tempo a perderlo. Io sarei anche andato al cinema, o qualche concerto, proponevo anche qualche novità. Ma niente, solo figa e discoteca e canne. Era il mio turno, quello dell’essere giovane, e ho scelto di adattarmi. Ma allora, mi dicevo, meglio gli adulti.

Poi sono cresciuto un po’, ma per una serie di motivi che non sto qui a spiegare avevo sempre a che fare con i giovani. E quei giovani manco a dirlo, mi stavano sul cazzo. Perché i miei coetanei erano tutti presi nel loro fare soldi, e io avevo ancora bisogno di un po’ di quell’essere naif come certi giovani pensavo che fossero. Ma che abbaglio. Avevano la presunzione di essere più svegli di quelli più grandi come me, di saperla più lunga. Ma erano solo un po’ più giovani, tutto qui, e se non erano abbastanza intelligenti da capire che, se mi avessero dato retta, avrebbero raggiunto risultati mai visti, alla loro età, beh, fatti loro. E loro han continuato a fare di testa loro, ciechi e sordi nella loro boria, e un giorno ho deciso che era meglio smettere di curarmene. Allora, meglio gli adulti.

Così sono diventato adulto anche io e si sa, è proverbiale, agli adulti i giovani stanno sul cazzo. Fanno perdere tempo, a meno di non essere uno specialista della loro educazione, uno che lavora con i giovani. Altrimenti ti sembrano marziani. Ci sono quelli passabili, ma che vorrebbero rubarti il posto, quindi è meglio tenerli alla larga. Per il resto non c’è storia, hanno solo più vigore grazie all’età ma non sanno dove e come e perché e quando sfruttarlo. E pretendono i nostri soldi, i nostri spazi, anche i nostri vestiti, le nostre abitudini, persino la nostra cultura. Copiano la nostra musica e il nostro stile. Quando hanno un guizzo di originalità, facciamo finta di nulla e gridiamo al plagio, tanto un archetipo di riffa o di raffa lo tiriamo sempre fuori dal cilindro del passato. Per il resto, gli sbattiamo in faccia i loro lucchetti amorosi, la tecnologia e o soldi che hanno a disposizione per aggiornarla a loro piacimento e il tempo che perdono nei socialcosi e in tutto ciò che non è reale.

Poi, a un certo punto, qualche adulto come me viene fuori con il partito dei giovani, e io che mi immagino il futuro del partito dei giovani al potere come uno stadio in cui tutti gli anziani sono stati concentrati lì, con le guardie armate di mitra intorno a stare attenti che non scappiamo. E sulle tribune e sulle gradinate dello stadio i membri e i simpatizzanti del partito dei giovani che osservano interdetti tutta quella disumanità vecchia decrepita lì in mezzo nel campo di concentramento che si lagna della crudeltà dei loro carnefici, non ci sono i bagni e siamo costretti a fare i bisogni lì davanti a tutti, quelli malati che hanno bisogno delle medicine, e ridono i giovani, e con i loro telefonini fanno foto e video che poi postano su Facebook con commenti sprezzanti e sgrammaticati. Guarda questo un po’ gobbo con la barba, scrivono, aveva il portafoglio pieno di ticket restaurant.

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