Una volta ho bucato in pieno un incontro importante di lavoro. L’appuntamento era Torino, nella sede di un importante cliente di un mio cliente un po’ meno importante. Il mio cliente un po’ meno importante aveva promesso al suo importante cliente che avrebbe portato con sé un giornalista per un’intervista, quei marchettoni edulcorati che vanno spalmarsi su pagine a pagamento mascherate da informazioni, note agli operatori del settore e non come publiredazionali o pubbliredazionali (ci sono due correnti di pensiero sull’uso della doppia, io preferisco la seconda). Era programmato da più di due settimane, troppo per la mia capacità organizzativa, in un ambiente in cui ci vengono chieste cose dalla mattina per la sera, al massimo per il giorno successivo. Una volta stabilito giorno e ora, non so il perché e il percome ma ho dimenticato di annotare l’appuntamento in agenda e mi sono tuffato nuovamente nella sala macchine della produzione fatta di urgenze, imprevisti, tecnologia che si ribella e lotte contro il tempo. Ah, e io sono tutto tantomeno un giornalista.
E quella mattina è arrivata, come tutte le altre. L’incontro era fissato per il dopo pranzo. Il mio cliente, che comunicava con me tramite una collega pierre di sicuro perché più carina e comunque del sesso giusto per giustificare un rapporto epistolare professionale quotidiano e un fee all’agenzia, per scrupolo le chiede se era tutto confermato, e che mi avrebbe atteso all’ora stabilita all’ingresso della sede del loro cliente. La collega mi inoltra l’aggiornamento, e dentro di me scende il gelo, come quando apri gli occhi e ti accorgi di aver spento la sveglia chissà quante ore prima e avevi un treno da prendere che ha fatto a meno di te. Realizzo che non ce la farei a precipitarmi a Torino e arrivare in tempo.
Chiamo il mio cliente e gli dico la verità. Ma gli propongo anche la soluzione, una banale intervista telefonica. Loro stanno lì e io, facciamo pure finta che sono malato, da qui. Accetta, inequivocabilmente scazzato, ma capisce che non c’è altro sistema per porre rimedio. Rimaniamo che mi chiama lui alle 14. E puntualmente squilla il telefono, quindi le presentazioni di rito, insieme a lui ci sono i vertici dei sistemi informativi di questa grande azienda italiana, una società molto importante. Ma il più “vertice” dei due chiede al mio cliente che cosa stiamo per fare. Lui, sommessamente, spiega la finalità del meeting, l’intervista telefonica, quello che previa loro approvazione ne conseguirà. Al che ottiene in risposta che non se ne parla, ogni intervista per una società del loro livello può essere rilasciata solo tramite l’ufficio stampa (concordo) e quindi gli dispiace ma non si può fare. Il mio cliente chiude la conversazione visibilmente (anche se non lo vedo) amareggiato. Ma il cliente, in questo caso il suo, ha sempre ragione, no?
E niente, una volta ho bucato in pieno un incontro importante di lavoro, ma l’incontro stesso era un buco, e non ci sono finito dentro per puro caso.