Ho un amico con cui posso parlare davvero di tutto, un rapporto perfetto perché io e lui abbiamo più o meno gli stessi gusti di letteratura, cinema e musica, ma in quel modo tangente per cui leggiamo, vediamo e ascoltiamo autori diversi; io so che mi possono piacere, il genere è quello, per cui siamo reciprocamente fonte di nuove conoscenze. Un po’ quello che accade ora anche sui socialcosi, dove c’è un frullatore che mette dentro tag e parole chiave e ti calcola la percentuale di compatibilità con le persone. Un sistema più o meno attendibile, insuperabile però se provato di persona, laddove intervengono fattori a cui presto non saremo più abituati. L’odore, il linguaggio del corpo e le altre percezioni fisiche che ci fanno scaturire il “mi piace” o il “non mi piace più” diretto, un giudizio che dal vivo possiamo anche tenerci per noi e manifestare cambiando le amicizie, così nessuna conoscenza in comune lo verrà mai a sapere.
C’è solo un terreno su cui non riesco a seguire questo mio amico. Ogni tanto mi parla di reincarnazione, teorie psicoanalitiche mescolate alla filosofia orientale, chakra, meditazione e esperienze extra-corporee, e anzi prego i lettori cultori di queste discipline di non biasimarmi per come sto trattando l’argomento, per la terminologia che uso e l’approccio. Questo blog, come ho già scritto altrove, si basa principalmente sulla cialtronaggine contraddittoria (mia) e sul pour parler, e non me ne abbiate se mi occupo di argomenti che vi stanno a cuore non conferendovi un’adeguata dignità. Ma su questo tema, o insieme di temi, mi trovate ancora meno informato di altri. La mia visione razionale della realtà mi impedisce di contemplare qualsiasi cosa sia meno tangibile della materia solida, già sul liquido non commestibile (e non alcolico) ho qualche problema. Figuriamoci con gli elementi gassosi e quelli non rappresentabili su un piano tridimensionale.
Chiacchieravo con lui di un argomento “leggero” come il rebirthing, che in un’iperbole ho definito esperienza limite per andare alla radice di alcuni miei conflitti interiori irrisolti. E dicevo all’amico che non sarebbe male provare un viaggio dentro il me stesso di quaranta e più anni fa, rivivere i momenti di rottura e isolarli in qualche modo, per affrontarli e vincerli in seguito. Lui, che è molto competente in materia, mi ha suggerito di andare oltre, trovare un canale per spingermi fino alle vite precedenti. Addirittura.
Ma quando penso alla reincarnazione, che ritengo una delle numerose teorie escatologiche sviluppatesi in qualche modo per dare conforto all’ineluttabilità della morte, penso alla sfiga del ritrovarsi servo della gleba nel medioevo, indigeno americano all’arrivo degli spagnoli o, per fare un esempio più recente, soldato-bambino in qualche guerra africana. Voglio dire, Berlusconi a parte non ci possiamo lamentare del livello di civiltà a cui siamo stati predestinati, qui nel nord-ovest del pianeta. Un luogo in cui l’incommensurabile, nel mio caso, ha solo le sembianze rarefatte di un grande cruccio che mi porto appresso da sempre, il sogno ricorrente che mi fa sobbalzare di notte: io partigiano che vengo braccato e ucciso dai nazisti nelle campagne di un luogo non identificato.
Forse, chiedo al mio amico, in una vita precedente sono stato realmente protagonista di un’uscita di scena così eroica e tragica. E il suo parere da esperto è un pugno nello stomaco: potrebbe anche essere il contrario, e cioè che la mia anima ha occupato il corpo di un ufficiale nazista che ha catturato un “bandito” comunista e lo ha freddato come lo sogno io, con la rivoltella sulla nuca. In effetti il conto torna. Personaggi nella scena onirica ce n’è più di uno. Ed ecco un motivo in più per continuare a ignorare chi sono stato prima. Non sopporterei mai un prequel simile.