Attenzione: post per addetti ai lavori, si tratta di speculazioni da musicista nerd. Astenersi chitarristi (a parte SpeakerMuto, so che mi capisce.)
Avete presente, immagino, la relazione che sussiste tra la pressione di un tasto qualsiasi della vostra tastiera, ammesso che non siate ancora passati al touch screen e mi stiate leggendo su un iPad (cosa di cui sarei onorato, visto il periodo) e comunque anche in quel caso avrete pulsanti da premere per far accadere l’evento che fa partire l’azione che genera una conseguenza, no? Apri una pagina, chiudi una pagina, fai partire un video e così via. Nella mia idea di tastiera elettronica, nel senso di strumento musicale, quella che in parole povere si suona e che assomiglia al pianoforte che avete in salotto ma non riproduce alcun suono a meno che non sia allacciata alla rete elettrica o, in taluni casi, non sia collegata ad un ampli o, i più evoluti di voi, non sia connessa via usb al pc. Quella che la moltitudine indotta (nel senso latino, da indoctus) chiama volgarmente pianola. Dicevo, la mia idea di tastiera elettronica è più simile a una componente di un pc più che a un pianoforte. Una periferica composta da tanti tasti funzione – F1 F2 eccetera, quelli che stanno in alto e che nessuno oramai usa più – assegnabili a una nota, a un suono, a un rumore, a un loop a discrezione dell’utente. Dodici tasti bianchi e neri per ottava, ma non necessariamente note in scala (do do# re re# ecc…) ma programmabili a seconda delle esigenze.
Questo preambolo incomprensibile ai più, mi serve a introdurre il sampler, in italiano campionatore. Il sampler è stato per anni la mia passione perché ha dato vita alla perfetta materializzazione di quanto detto sopra. Quando tramontò temporaneamente l’era dei sintetizzatori analogici, siamo a metà anni 80, furono immesse sul mercato tastiere che emulavano i suoni reali (piano, chitarra, fiati e così via) con una fedeltà a dir poco esilarante, ma a noi tastieristi non si richiedeva più di emettere mooggiti (bella questa, nevvero?) e inviluppi con tanto di portamento (anche questa non è male), bensì di fare la parte degli ottoni e degli archi, oltre a un ritorno a piano e organo. E già io non ci stavo dentro.
Poi ecco il campionatore, che c’era già. O meglio, esisteva il Fairlight ma potevi barattarlo con un appartamento, tanto costava, e poi senza appartamento non avresti saputo dove posizionarlo, perché intrasportabile. Furono immessi sul mercato, finalmente, sampler abbordabili, sempre a seguito di contratti capestro e rate impietose, chiaro. Però ci si divertiva a registrare i rumori e a trasformarli in suoni talvolta improponibili e difficilmente utilizzabili se non per il proprio autoerotismo melodico. Assoli di trapano, incidenti stradali con il pitch a meno quarantotto, componenti ritmiche da adattamenti di fragori di dubbia provenienza. E poi il loop, il ritmo lo faccio io e tu, batterista, se vuoi ti metti il clic in cuffia e mi segui, altrimenti faccio a meno di te. Tanto più che posso prendere i pattern scoperti dai cd, registrarli e riprodurli in eterno così, senza passaggi e rullate e sterili virtuosismi. Ma la cosa rivoluzionaria era che le mani non necessariamente dovevano suonare accordi o melodie, era come pilotare una console di comando di un universo sonoro che ora è passato di moda, fortunatamente grazie al ritorno dei mooggiti di cui sopra. Quindi, per fare un esempio, anche effetti già intonati all’esecuzione del pezzo assegnati al tasto più comodo a seconda delle altre parti di tastiera. Insomma, c’era davvero da divertirsi e si è trattato di una tecnologia musicale innovativa che ho sfruttato alla grande.
Oggi molti tastieristi usano il Mac collegato alla tastiera (nel senso di pianola): il computer può contenere infatti sia i sintetizzatori virtuali, che i campionamenti, che le tracce già pronte su cui suonare. Insomma, come avviene per gli altri ambiti in cui è utilizzato, è un unico strumento che fa tutto. Ma il rischio, che per l’Apple è più raro ma che comunque sussiste, è quello di dover interrompere un concerto e annunciare di dover riavviare il sistema. Per questo, anche se ho smesso di suonare ma non si sa mai (ehm), io ho ancora in cantina un vecchio Yamaha A3000 con 128 mega di ram, che fa ridere, ma collegabile via SCSI (che fa ancora più ridere) a uno Zip (qui ci sbellica letteralmente) a un Jaz o un lettore cd, da cui caricare ogni volta i banchi di suoni campionati necessari. Memorie su cui ho campionato tutto il campionabile, tanto quelli, i sampler, non crashano mai.
In effetti, sullo Zip mi sono fatto una risata gustosissima 😀
Bell’articolo 🙂
Hai un Disaster Recovery :^) Per lo stesso motivo io ho due chitarre e due pedaliere ;^)
Grazie. Lo zip, un tempo, è stato più che una speranza
e ti porti dietro tutto?
Le due chitarre per forza, nel caso si rompa una corda mentre sono sul palco.
Per le pedaliere il discorso è diverso: se succede sul momento mi attacco all’ampli e amen, altrimenti se una è a riparare ho l’altra.
a me capitò, almeno un’era gelogica fa, che mi si smemorizzasse un synth poco prima di salire sul palco, a platea già colma. Riuscii a cavarmela suonando solo con l’unico strumento rimasto. Questo a dimostrazione che anche le tastiere, come i pc, possono andare in palla.