Di fronte a un’intervista a Julian Schnabel trasmessa in tv ci si sofferma anche solo per il piacere di vedere qualcosa di diverso, benché talvolta i set di domande del programma in questione siano un po’ deludenti per chi del personaggio ospite vorrebbe saperne di più. Una leggerezza tutto sommato sostenibile, il pour parler del momento del caffè dopo cena, quando la tv è accesa per caso e ti capita l’occhio lì. Mia figlia mi chiede chi sia, non Fabio Fazio, l’altro. Hai voglia a fare una sintesi di Schnabel. Un regista, un fotografo, un pittore, tante cose tutte insieme, possiamo dire un artista e le risparmio la locuzione a trecentosessantagradi perché per mia figlia è arabo, non ha nemmeno finito le tabelline. Ma vedo che non ha capito e temo la domanda. Papà, mi chiede, ma in realtà questo sgnabel di lavoro cosa fa? L’artista mica è un lavoro. E allora non so che risposta darle. Come non è un lavoro? Ma non si risponde a una domanda con un’altra domanda, tanto meno a un bambino. Mi rendo conto che non ha tutti i torti, però, e che quello che non ha capito sono io.
I bambini riescono spesso, con le loro innocenti domande, a porre interrogativi a noi stessi su cose spesso date per scontate.