Alla fine la morte è sempre la stessa, se la canti, se la filmi, se la racconti. È quando la vedi addosso agli altri, ma gli altri quelli più stretti, che tutto ti si concentra in un unico groviglio di una materia schifida e indefinibile, te lo ritrovi tra le mani e speri che si consumi da sé, così come si è formato.
Non si consuma, almeno per me. Anzi, mi inghiotte. Una parte di me urla “PERCHE’?”, un’altra suggerisce:”TACI! Non fare domande!”. Viene voglia di chiudere gli occhi, di dormire: c’è sempre la speranza che poi mi sveglio e mi accorgo che è stato un incubo.
Lo so, è una parte della vita: però, a me sembra solo una tragedia inutile e senza senso. Non riesco neppure a chiamarla con il suo nome; ma io sono un immaturo, quindi portate pazienza, non contate su di me e non ascoltatemi.
Scusate la lagna.