Ci sono tantissimi modi per trascorrere l’ora dedicata al ristoro in ufficio e farla fruttare come un sano e utile momento di break. A me non piace, per esempio, pasteggiare nei bar per una lunga serie di motivi: la ressa, la frenesia dei camerieri che ti sfrecciano intorno, i network radiofonici commerciali appalla o le partite nei maxi-schermo o, peggio, la prima edizione dei telegiornali Mediaset. Per spendere poi l’equivalente di una cena al ristorante. Meglio un pezzo di (quella che qui a Milano ti spacciano per) focaccia o un panino e, finché c’è bel tempo, fare quattro passi per non passare la giornata alla scrivania. Ma spesso ci si porta la schiscetta o ci si arrangia in qualche modo al supermercato, frutta, verdura, formaggi freschi, e si mangia dentro, non necessariamente davanti al pc, diciamo che per forza di cosa è l’usanza più comune.
Passare l’ora di pausa in ufficio, almeno qui, significa però subire la quotidiana telefonata a non-so-chi del collega che, poverino, deve avere una sfilza infinita di problemi e sfighe congenite, per cui è costretto a dedicare almeno trenta minuti al dì a questa sconosciuta interlocutrice litigando, smadonnando, cercando di recuperare e di comprendere per poi ripartire da capo con implorazioni, accuse, autoanalisi, frecciate, domande retoriche. Una conversazione altalenante che si percepisce chiara e forte dalla sua postazione, perché il volume della sua voce è quello delle grandi occasioni di confronto e della litigata coi controfiocchi. Ma non c’è verso di provare a uscire, in nome della privacy. No, anzi. Questo spinge molti di noi ad andare fuori anche di malavoglia durante lo show, per non causare imbarazzi e non essere costretti ai tentativi di consolazione; voglio dire, ci si aiuta qui come tra tutti gli esseri umani, ma per un caso che si reitera quasi ogni giorno è piuttosto delicato capire come intervenire. Poi, pian piano, l’ufficio si ripopola, i colleghi rientrano, lo sfortunato probabilmente si accorge di aver ancora una volta abusato dell’ambiente familiare che vige qui. Allora la conversazione si spegne, a volte si fa più intima dietro la porta finalmente chiusa della sua stanza, e il nostro malumore può di nuovo tornare concentrato sulla lavorazione del giorno.