Il cratere artificiale scavato all’imbocco del paese ha svelato la sua natura. Nessun meteorite: si tratta di buco propedeutico alle fondamenta di un colossale piano terra posto sotto a un primo piano sormontato da un secondo, un’anima di cemento armato a cui è stato dato un corpo, un corpo che è stato vestito fino ad assumere le sembianze di un megamulticentro sportivo della catena Virgin. Millemila metri quadrati di fitness, palestre, piscine, spogliatoi, spazi comuni stanno per essere inaugurati a fianco di uno dei tanti non-luoghi dell’hinterland, un’area che già ospita l’immancabile Esselunga, il Decathlon, un Leroy-Merlin, con il contorno di concessionarie di automobili varie, tutti insieme appassionatamente lungo il perimetro di una rotonda ubicata in un incrocio strategico, a meno di un chilometro dal centro del paese.
Il megamulticentro sportivo Virgin sancirà probabilmente la fine della piscina con palestra nuova fiammante ubicata a cinque minuti a piedi da casa mia, nel parco, un complesso modernissimo costruito pochi anni fa e di proprietà, per il 51%, del comune, quindi anche mio. Un progetto nato tra mille polemiche e che è stato anche causa del fallimento dell’amministrazione di centrodestra precedente all’attuale, di centrosinistra, che ha dovuto risanare a fatica un buco economico non indifferente. Ma verrà colpita anche una seconda palestra privata, piuttosto frequentata, che difficilmente farà fronte al vantaggio competitivo della multinazionale del sudore benefico. E sono pronto a scommettere che anche molte società sportive amatoriali della zona vedranno diminuire i loro iscritti, magari quelli più allocchi attirati dalle insegne luminose di un paese dei bengodi dove, oltre ad allenarsi, potranno avere maggiori opportunità di vita sociale grazie a una formula che unisce sport a divertimento, l’ennesimo all inclusive in cui manca solo che ti lavino la maglietta e calzini sudati per farteli trovare pronti al successivo ingresso (cosa che peraltro succede altrove). In più, determinerà l’ennesimo cambiamento delle abitudini di vita dei miei concittadini, perché per recarsi al megamulticentro sportivo Virgin dovranno comunque utilizzare l’automobile, l’ubicazione seppur limitrofa è comunque raggiungibile quasi esclusivamente con una superstrada. Il percorso pedonale e ciclabile attraversa una strada provinciale molto trafficata. E poi, non dimentichiamo che non ci sarà certo problema di parcheggio.
Resta da chiedersi quale altra componente della nostra esistenza rimane disponibile per essere target di questa speculazione all’ingrosso. Dopo supermercati e centri commerciali che hanno cancellato, oltre al commercio al dettaglio, anche il piacere della spesa quotidiana, prassi soppiantata dai mega-acquisti settimanali nei ritagli di tempo del nostro orario di lavoro o, meglio, nel finesettimana. Dopo i megastore culturali, in cui trovi ovunque gli stessi libri e gli stessi cd e dei quali vuoi mettere la comodità di entrare con il carrello della spesa? Poi il bricolage e l’abbigliamento, insomma, cosa resta ancora da vendere? La scuola? Sorgeranno catene di mega-complessi privati dove iscrivere i nostri figli dagli otto mesi dell’asilo nido alla quinta superiore, spazi in cui c’è tutto, li accompagni la mattina e li ritiri prima di tornare a casa ma non hai remore perché sono seguiti da personal trainer e assistenti e comunque possono chiedere aiuto alla receptionist messa lì da qualche agenzia interinale? O il tempo libero: immagino spazi multipiano in erba sintetica dedicati ai finesettimana delle famigliole, ogni livello una fascia di età con giochi e passatempo adatti, un abbonamento mensile adulti a prezzo pieno e under dodici a prezzo ridotto, le famiglie si organizzano e un genitore accompagna anche i figli degli altri e sta lì, sulla panchina sotto il sole artificiale a curare gruppi di scalmanati che sfogano le smanie di caciara mentre dai finti lampioni si diffondono canzoni adatte al target? Oppure bocciofile e circoli per la terza età, qui gli sponsor non mancano, magari con la navetta che fa la raccolta di chi non può più utilizzare un mezzo proprio. Un posto sicuro in cui investire la pensione, e poi via in questi multiplex tra balere e giochi di carte, spazi per la socializzazione, gadget e promozioni ad hoc per uno dei gruppi di acquisto che, ad oggi, se la passa comunque ancora discretamente.
Ed è facile immaginare come sarà questo paesino tra dieci o venti anni, l’ennesimo quartiere dormitorio con tanti satelliti commerciali tematici intorno, dove le uniche infrastrutture attive presenti saranno sempre più solo i distributori di benzina.
Onestamente non capisco proprio questa mestizia. Una palestra è una palestra è una palestra.
Se è grande, ben fatta, comoda e piace agli utenti non va bene?
Le palestre aprono e chiudono, a seconda di quanta gente ci va. Fine, niente di drammatico.
Come per i piccoli negozi. Beh, se io dovessi concedermi il piacere della spesa quotidiana, dovrei pagare un sacco di soldi in più per prodotti identici o talvolta addirittura peggiori.
Vogliamo trovare qualcos’altro di cui lamentarci?
Uqbal, devi però vedere il problema da un altro punto di vista. Questa sorta di decentramento degli spazi aggregativi, almeno qui nella periferia nord di Milano, ha impoverito il tessuto urbano locale, in cui serrande chiuse ed esercizi commerciali vuoti (peraltro continuano a sorgere nuovi edifici che contemplano negozi al piano terra che rimarranno invenduti) di certo non migliorano i nostri agglomerati già di per sé problematici (e aggiungo io bruttini). Con risvolti sulla vita sociale stessa degli abitanti, che utilizzano quegli spazi anche come luogo di ritrovo, non solo per lo scopo principale per cui ingrossano gli introiti delle amministrazioni locali con l’Ici. Che poi, oggi, ci siano altri problemi legati alla qualità dei prodotti dei piccoli negozi rispetto alla grande distribuzione, secondo me, è un’altra questione.
Mi hai ricordato un documentario di Wenders (Tokio ga) che avevo quasi cancellato dalla memoria. Industrie di cibetti finti per gli espositori dei ristoranti e golf in cima ai grattacieli (ogni singolo collettino bianco nel suo mini spazio recintato, concentrato nel lancio di palline durante la pausa pranzo).
Plus1gmt
Non entro nel merito della programmazione urbanistica della tua area (che può essere pessima o anche inesistente e spiegherebbe la miopia di aprire impianti simili uno vicino all’altro -mi riferisco alla piscina), ma che problema c’è a socializzare in una palestra della Virgin? Perché uno, avendo soldi da spendere, non può togliersi lo sfizio di un servizio di lavanderia dedicato?
Perché dovrebbero essere allocchi quelli che ci vanno? E se questi allocchi pensano che là ci sarà più socialità, allora me la prenderei con le società amatoriali che evidentemente non fanno abbastanza per soddisfare i loro iscritti.
Se il problema è che i parchi sono negletti (un problema che non esito a immaginare realistico), allora bisogna lavorare sui parchi. Se il problema è la pista ciclabile/pedonale, chiedete un sovrappasso.
Non è molto realistico pensare che la gente socializzi nei luoghi “giusti” (??) solo per mancanza di alternative e perché si è vietata l’apertura di una palestra virgin.
A me piace moltissimo la mia città, Bari, ne conosco gli angoli più belli e quelli più brutti. Però, per dire, lo shopping lo faccio in centro (nei luoghi tradizionali della socialità) soltanto se posso ovviare al problema del parcheggio. Altrimenti mi faccio una passeggiata in un centro commerciale, risparmio, e non mi sento depauperato per questo.
Né questo sta ammazzando la vita sociale in città. Gli unici che si lamentano sono i commercianti che però, in vent’anni, non hanno mosso un dito per migliorare qualità prezzi o servizi.
Sono arrivato sul tuo blog per caso e ho scoperto che siamo vicini di casa 🙂
Ops! Spero di non essere un vicino troppo rumoroso 🙂
Forse possono resistere i negozi di strumenti musicali, entro certi limiti. Difficilmente ne trovi, nei centri commerciali.
Benché io mi rivolga all’usato da qualche anno ;^)
spettrale, davvero. Qui dalle mie parti non ci facciamo mancare nulla.
ho deciso che non comprerò più nulla, ma per noi tastieristi è diverso. Voi con la chitarra siete molto più fortunati.
Non so, è l’idea della scorrettezza del mercato, per me che sono retorico e inutilmente idealista, che mi lascia perplesso. Voglio dire, si vince facile con il potere di un brand e dei suoi soldi, ci vuole poco a fare piazza pulita di tutto. E non credo che l’entusiasmo dei cittadini o le amministrazioni senza soldi potranno mai vincere il gigante che schiaccia tutto. Mi fa paura un’idea di città in cui si dorme e basta, tutto qui.
“Voi con la chitarra siete molto più fortunati”.
Be’, nella mia ignoranza ho sempre pensato il contrario: ai tastieristi basta programmare una nuova forma d’onda o caricarla sullo strumento. Noi invece, non possiamo avere una chitarra che vada bene contemporaneamente per jazz mainstream e death metal. Con buona pace della Line6.
Plus1gmt
Io non voglio essere insistente, ma io in un salumiere non ci vedo niente di più idealista della signora, dipendente, che fa la stessa cosa in un ipermercato.
E’ che tu la vedi in un’ottica Davide contro Golia. Io mi limito a vederla dal punto di vista del consumatore. E della razionalizzazione economica, direi pure. Ti sembrerò spietato, ma non intenzione di finanziare, con i prezzi necessariamente più alti, negozi che costano di più e offrono di meno (ed evadono sicuramente di più della grande distribuzione).
Mi viene in mente Furore di Steinbeck: l’epopea dei piccoli coltivatori dell’Oklahoma scalzati e resi poveri dall’agricoltura meccanizzata ed industriale dei grandi proprietari. Tristissimo vederli lasciare la propria casa e andare a cercare lavoro in California. Gente dalla grande dignità e vogliosa di lavorare.
Però la soluzione non è respingere i trattori e tornare ai piccoli poderi. Nessuno nel romanzo lo pensa né Steinbeck lo suggerisce, per il semplice fatto che vorrebbe dire non sfruttare la terra, le sue risorse e le braccia dei lavoratori bene come il nuovo modello produttivo permette di fare. Infatti, dopo una lunga epopea, quel che in realtà accade è che i contadini si trasformano in qualcos’altro: ceto medio, operai, insegnanti, lavoratori più bravi ed efficienti del semplice contadino.
Il cambiamento è doloroso, ma apre delle possibilità. E infatti poi l’America si rinnova e cresce: diventa qualcosa di più e di meglio di quel che sarebbe stata se avesse semplicemente detto “Noi i trattori non li vogliamo!”.
E noi dobbiamo fare lo stesso. Altrimenti anche noi dovremmo lamentarci che i trattori hanno lasciato disoccupate le mondine…
Uff…ho finito!