In coda per l’ingresso agli Uffizi, una coda lunga, estenuante, di quelle che ti fanno passare la voglia delle gite culturali nei giorni in cui tutti fanno le gite culturali ma, purtroppo, nel tempo organizzato dal sistema socio-economico non ci sono alternative. Ho dietro di me un anziano turista inglese che, probabilmente molto più avvezzo di me alle attese educate, legge il suo libro, controlla lo stato della fila di persone davanti, chiacchiera con la moglie. Mi viene naturale impicciarmi cercando di scambiare qualche battuta con il mio inglese so and so, ma per fortuna il suo italiano è molto più fluente della mia lingua straniera (se non del mio italiano stesso). La ciacola prende corpo, e il mio interlocutore si dimostra persona simpatica e brillante, molto colto e arguto, insomma, l’attesa della visita prende un’altra piega.
Dietro di lui, altrettanto ordinati e pazienti, una famigliola tedesca. Madre, padre, un paio di figli e una nonna. Anche loro chiacchierano, ma il padre ha un tono di voce lievemente sopra la media, ma è comprensibile, deve tenere a bada anche i bimbi che, come è nella loro natura, si annoiano costretti lì tra tanta gente. E ogni volta che il papà parla, noto una smorfia di fastidio nella faccia del mio compagno di coda, l’anziano inglese che stringe gli occhi e corruga la fronte. Lo guardo preoccupato, chiedendo implicitamente una spiegazione. “Ho combattuto contro i tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, per più di due anni in Europa e anche qui in Italia. Non dimenticherò mai il loro modo di impartire ordini, di rivolgersi agli altri, di parlare con militari e civili”. E a dirla tutta, mentre ascolto la sua difesa, nel mio emisfero ignorante trovo il pregiudizio per cui anche per me il tedesco è la lingua dei nazisti. Sono bastati film, documentari e libri a costruire un ricordo di cose che non ho visto e che non ho subito, e la cosa paradossale è che si tratta di un ricordo ancora troppo vivo. Il turista inglese si sistema il cappellino di tela, con una salvietta si asciuga il sudore, mi fa un cenno come a dire “ora mi passa”, e mentre ora ho attivato l’emisfero razionale, quello in cui c’è Angela Merkel, per esempio, osservo l’uomo tedesco che depone a terra uno zaino e si mette sulle spalle il più piccolo dei suoi figli.
Ma che bello e intelligente questo post.