In questa città si invecchia in un modo unico. Le coppie di anziani passano il tempo a parlarsi con l’accento da comanda, da padrone a bracciante, da avventore maleducato a cameriere inesperto, e a chiedersi scusa subito dopo per rimediare. Ma ad altre latitudini è peggio. Gli anziani hanno il volto cotto dal sole, le rughe segnate da stagioni trascorse sulle sdraio in riva al mare. Calzano ciabatte anche fuori di casa, sandali in cuoio incrociati sulle dita dei piedi; li vedi – vedi solo loro, laggiù i giovani non esistono – uscire dai negozi dei caruggi con le borse che traboccano di verdura, o mentre scelgono in pescheria la vittima designata. Grezzi e austeri. Altrettanto poco simpatici, ma in un modo diverso, non perché non hanno tempo. Ne hanno fin troppo. Anche a 80 anni con le borse in mano di quelle che ti segano le dita, perché con i carrelli su marciapiedi sconnessi e strade devastate dall’incuria la fatica è doppia. E infine su per rampe di scale strette e buie e ripide. A casa aprono cassetti in cui non ci sta più nulla, alcuni fitti di sacchetti di nylon ormai fuorilegge, altri di vasetti di yogurt vuoti di cui stento a immaginare il loro secondo impiego. Gli scuri chiusi, le infiltrazioni nei muri, la tv accesa a conciliare il sonno, dopo pranzo.