il senso dei milanesi per le distanze

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Io che non sono nato in una metropoli ma sono cresciuto in una cittadina in cui, se non hai pretese, e sono in tanti a non averne, puoi rimanere chiuso in un raggio di un centinaio di metri e avere tutto, cinema a luci rosse compreso, mi immaginavo da ragazzino questi enormi centri urbani che si stendono fino in periferia in cui non si può fare a meno di un mezzo di trasporto sotterraneo, che è un po’ come chiudere gli occhi e riaprirli e sei dall’altra parte della città. Non so se mi sono spiegato: la distanza tra una stazione e la successiva è un salto quantico, altrimenti non avrebbero costruito una rete di treni sottoterra, utile invece a non avere la sensazione dei chilometri percorsi e migliorare l’esperienza di viaggio.

Avevo visto anche un film in cui un bambino si addormentava su una metropolitana, e arrivava in una specie di non-capolinea, probabilmente era una cosa ai confini della realtà, ma dopo la quale mi sono detto che, se un giorno avessi abitato in una grande città, sarei stato ben attento a dove scendere. Sono quelle paure irrazionali da bambini su cui, quando sei grande, ci ridi su, ma che in fondo in fondo, in un angolino remoto della tua pancia, rimangono lì come una lucina di stand-by di un elettrodomestico. Da una parte succhiano risorse, dall’altra però ti mantengono vigile. Come la paura della gomma ingoiata. I genitori ti insegnano a non ingoiare le gomme da masticare avvisandoti che, se le mangi, causano il soffocamento immediato. E tu cresci con le big babol che quelle stai sicuro non ti andranno mai giù, tanto sono enormi. Ma quando passi alle gomme a confetto, minime ed efficaci per avere l’alito fresco, e sei grande e fingi di non pensare più al monito che mamma e papà ti hanno impresso nella memoria perché sei convinto sia impossibile immettere sul mercato un prodotto alimentare per ragazzi che causa facilmente soffocamento, e magari non solo sei grande, ma hai più di 20 anni e sei su un palco con un gruppo reggae e, mentre salti come è giusto saltare e ballare sui pezzi in levare, il confetto che stai masticando per la prima volta nella vita ti va giù per la gola, per i successivi 10 minuti un attacco di panico non te lo toglie nessuno. Sono gli incubi che si avverano ma che speravi non si avverassero mai. Tra i miei, oltre alla gomma ingoiata, c’è anche la gomma che esplode, quella dell’auto, e ho la ruota di scorta sgonfia e sono in autostrada. O perdere il traghetto. E addormentarmi in metropolitana e svegliarmi in un non-capolinea con il controllore mannaro che vuole mangiarsi l’abbonamento Atm e il suo proprietario. Ecco, stavo scrivendo di tutt’altro e mi sono perso, invece. Scusate, non sono pratico di questo post. Ah ah. Ehm. Dicevo. (E comunque la battuta era pertinente).

Dicevo. A un certo punto della mia vita ho ricevuto un’offerta di lavoro irrinunciabile. Anzi, prima dell’offerta c’è stato il colloquio. E la persona che mi aveva contattato, e con cui ero al telefono, mi stava spiegando come trovare la sede dell’azienda a Milano, in Piazza della Repubblica. Mi disse di prendere la linea gialla in Centrale. Ecco, io non sapevo molto di Milano, e gugol maps non era ancora stato inventato. Fatto sta che arrivo in Centrale e prendo la metro e, in meno di un minuto è già il momento di scendere. Ma pensavo comunque di aver fatto il salto quantico di cui sopra, ero teso e la metropolitana per me poteva anche avermi trasportato per qualche chilometro a una velocità inimmaginabile. Posso essere ovunque, sono su un mezzo di trasporto pensato per coprire grandi distanze urbane.

Insomma che mi inerpico sulle scale mobili, esco alla prima uscita che trovo che è quella che dà su Viale Tunisia. Salgo su e mi vedo la Stazione Centrale praticamente a un isolato di distanza. Da quel giorno, la paura del non-capolinea è svanita, si è infranto un tabù. Non solo: mi muovo spessissimo a piedi, il centro di Milano in fondo è piccolo e non ci si perde neanche un bambino, anche se i milanesi non lo ammetteranno mai.

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