Nei punti vendita di una rinomata e very very trendy catena italiana (vietato usare il termine franchising, pussa via) di gelaterie, che comunque, i puristi dell’alimentazione slow food mi perdonino – ops, ma questa catena fa parte dello slow food? allora non ci capisco più niente, ci si può andare o no? – fa dei gelati che spaccano, è facile riconoscere il personale in fase di tirocinio. Sul loro grembiule, che si distingue dagli altri, si legge a caratteri cubitali, ma con un font scelto appositamente a sdrammatizzare, “conista in training”. Una specie di P di principiante, ma che suona quasi come una lettera scarlatta di condanna. E che trasmette un chiaro e facile messaggio alla clientela: se un addetto non allinea secondo le guideline aziendali i due gusti ammessi nel cono da due e cinquanta, o ti schizza addosso la cannella durante l’operazione di stesura del velo sulla copertura di panna della granita, puoi dare un’occhiata all’avviso sul suo grembiule e controllare il suo status. Dipendente o stageur? Non sia mai, non è bello per nessuno fare una figura da gelataio davanti a tutti.
A Londra l’anno scorso mi è capitato di vedere una cameriera – italiana peraltro – con lo stemmino “in prova” addosso. E’ una consuetudine abbastanza diffusa, la quale permette di:
– complimentarsi con il titolare del negozio, o il responsabile, se si viene serviti con gentilezza. In questo modo si aiuta il laborioso e valoroso aspirante dipendente.
– lamentarsi se la persona in prova si comporta come un orso.
– chiudere un occhio se la persona in prova fa delle sciocchezze: sapendo che è in prova istintivamente si diventa più tolleranti perché più o meno consapevolmente si pensa al fatto che sarà agitata, alle prime armi ecc.
Sinceramente mi auguro che questo tipo di politica si diffonda sempre più anche in Italia, altro che “lettera scarlatta di condanna”!
“In prova” già mi piace di più; amo la sobrietà, è il voler fare i simpatici a tutti costi che mi infastidisce.