Ok, date un’occhiata qui, un’ottima rappresentazione grafica del rock’n’roll mainstream, scoperta grazie a Inkiostro, che ha in sé qualcosa di paradossale. Non ha nulla di underground pur essendo una mappa della metropolitana. Tuttavia, questa sorta di diagramma di flusso del trasporto pubblico di emozioni sonore è geniale, e mi ci ritrovo per diversi motivi. Iniziando dal più futile, rispecchia in pieno una mia fissazione estetica, un design che ho cercato più volte di imporre nelle proposte delle campagne pubblicitarie e di comunicazione a cui lavoro, e in un paio di occasioni ci sono riuscito. Per clienti diversi, chiaro. Poi l’idea della città sotterranea, il fatto stesso che una metropolitana contenga la matrice metropoli, ne costituisca il substrato, eccetera eccetera. Ci siamo capiti. Ma, soprattutto, è la metafora della storia della musica rock che mi ha colpito. Immaginate il significato per uno come me che ha girato in lungo e in largo quella città con un abbonamento perpetuo e costoso, fino al conseguimento della tessera gratuita di rock metropolitano honoris causa, quella che da più di dieci anni mi appaga ogni brama. Con i pionieri siti pirata, quindi grazie a programmi peer to peer, passando poi per i fasti di Audiogalaxy e di Soulseek fino all’ADSL flat e Adunanza, per arrivare a un impersonale ma efficace sistema di storage gratuito. E grazie a quella sorta di abbonamento totale, ho passato tantissimo tempo lì sotto. Ci sono linee, in quella mappa, che ho percorso più di altre, chiaro. Per esempio quella azzurra, sono salito a tutte le stazioni e sono rimasto in quegli ambienti così a me somiglianti a lungo e in diverse fasi della mia vita. Al contrario, probabilmente non mi incontrerete mai sulla nera, lì è pieno di metallari, capelloni con borchie e stivali, ogni cosa è collegata al distorsore, fa caldo, si suda e gli uomini amano indossare le canottiere. Adatto a chi ama il rischio, io no di certo.
Piuttosto la linea verde, ecco, bazzico spesso lì. Anzi, dirò di più. A volte mi perdo, capita a tutti. Ci sono giorni in cui non mi va mai bene nulla, vago tra playlist che non ricordo nemmeno di avere preparato, indosso gli auricolari… anzi, in quella metropolitana non c’è bisogno di auricolari. Tutto è amplificato, volume a manetta, altro che hi-fi antisociale. In quei momenti di sconforto decido di riprendere la via di casa. Io sono nato e cresciuto proprio sulla linea verde di quella mappa, tra le fermate di Bob Marley and The Wailers, quartiere dove abitava il mio pusher e nei cui locali ancora oggi vado a divertirmi un po’, e la più fighetta fermata Dire Straits, che ha dato i natali ai miei compagni di classe un po’ più banalotti; comunque, col senno di poi, chitarristi virtuosi e buon specchio di un’epoca. Tra quelle due fermate, e vi chiedo scusa se vi faccio leggere questo post con la piantina in mano, dicevo tra quelle due fermate c’è quella più vicina alla casa in cui sono nato. Si tratta di un quartiere apparentemente barocco, molto in voga negli early seventies, ricco di leggende, di citazioni, di persone travestite, di tempi dispari, di strumenti non ortodossi per la città di Rock’n’roll. La gente è un po’ scostante, a volte incontri mostri che ti chiedono di essere toccati, altre protagonisti di favole un po’ macabre, o lunghe saghe di persone reali. Si sono consumati delitti, ci sono barboni con gusti ben definiti che dormono sulle panchine, contemplatori delle volte celesti.
Anche se apparentemente folle, quello è il mio punto fermo. Da lì riesco a ripartire quando ho bisogno di un po’ di pausa, quando stili e trend musicali mi confondono un po’. Con un solo rammarico. Da quella fermata, che è la fermata Genesis, un giorno una persona molto importante, anzi la più importante, se ne è andata via, con le sue maschere e il suo flauto, e da allora non è più tornata. Il quartiere ha perso tono, lentamente è sbiadito, sono andati via altri, nel frattempo i tempi cambiavano, le case hanno perso valore, sono state persino introdotte le batterie elettroniche. Roba da matti. Così, quando termina l’ultima rampa delle scale mobili e mi trovo su in cima, chiudo gli occhi e lì sì che indosso gli auricolari con una musica che non esiste più. E, per sentirmi a casa, mi basta annusare il profumo della cena pronta.
Scrivo qualcosa di banale e saccente. (Va be’ dài, solo per discutere :^)
I Queen. Difficile catalogarli, soprattutto dove sono stati messi (vicino agli Aerosmith?).
Quando cominciarono potevamo metterli vicino ai Jethro Tull, Yes e Genesis prima maniera, poi sono diventati, appunto, vicini a Yes e Genesis (toh) più pop.
la linea verde…
(detto in un sospiro che lascia intendere giorni di note e compagnia e solitudine e libri e viaggi col naso attaccato al vetro)
anche per me la linea verde è stata in assoluto quella più frequentata, però ci sono fermate in cui sono scesa molto spesso. La rossa ad esempio alla fermata The Clash, l’azzurra alla fermata Depeche Mode. Ma la fermata che mi ha fatto più sognare è stata alla linea verde, si chiama Talking heads.
eh lo so, conosciamo quei luoghi come le nostre tasche. Attenzione, però, agli assassini psicopatici che si aggirano da quelle parti.
poco igienico ma rende l’idea del sogno in metropolitana
hai perfettamente ragione, la dislocazione è piuttosto discutibile. è che volevo scrivere un post sui Genesis, sul fatto che invecchio e conosco sempre più cose ma i Genesis (con P. G.) sono sempre lì. La r’n’r map è stata solo l’espediente narrativo 🙂
sarà per quello che mi viene l’allergia