Giorno di staff meeting. Si chiama così la riunione interna tra account, project manager (che poi sono le stesse persone che fanno entrambe le cose) e il capo. Ci si aggiorna sulle lavorazioni in corso e si ha un quadro di quello che fanno gli altri. La nostra agenzia non è grande, il turn over è ampiamente nella media, non siamo mai più di sei barra sette persone a partecipare a questi incontri in cui si fa il punto della situazione.
La lavagna divisa in altrettante colonne nominali, da aggiornare di volta in volta con i progetti in corso, vira sempre di più verso il bianco, nel senso che è sempre meno popolata dai nomi delle attività in fieri. Già, per la prima volta da quando sono qui, ormai quasi 10 anni, la flessione del mercato, una perifrasi che mi ricorda la ginnastica delle medie e che sta a indicare la crisi, ha fatto prepotentemente breccia nella nostra routine. La temevamo, chiaro. Ma nel 2009 l’abbiamo scampata, addirittura c’è stato un picco di lavorazione nel 2010. A dirla tutta ho lavorato come una bestia, l’anno scorso. Ricordo di aver spento il computer, alle 19.30 dell’ultimo giorno utile prima delle vacanze di natale, dopo aver chiuso e archiviato l’ultimo progetto dell’anno. E mi sono detto che ero proprio bravo, nel 2011 sarei potuto ripartire con tanti nuovi lavori senza avere nulla in pending.
Poi gennaio, ma gennaio si sa che è un mese un po’ assopito, non ci siamo accorti dello stato di coma. Febbraio ha meno giorni, ci sta che vada così così. Marzo è quando si deve decollare, invece siamo rimasti chiusi nell’hangar. Aprile: non pervenuto.
Così ci inventiamo cose da fare, cerchiamo di allungare i lavori che i nostri clienti ci assegnano provando ad assottigliarli un po’ come si fa con la pasta per la pizza. Li schiacciamo per farli aderire a tutta la superficie della teglia, per farli arrivare ai bordi in modo che ce ne sia per tutti. Chiediamo di aggiungere un po’ di ingredienti, arricchire la ricetta, renderla più gustosa. Ma quasi mai si va oltre il pomodoro e la mozzarella, quando non ci si limita alla focaccia semplice, senza rosmarino grazie. Mi si perdoni la metafora, influenzata dalla mia cena di ieri.
I junior iniziano a tremare. Uno di loro avrà il contratto ridotto a tempo parziale fino a settembre, data di scadenza, dopo la quale se continua così non gli verrà rinnovato. Poi c’è C., che è junior solo perché è qui da poco ma ha pochi anni meno di me. Anche a lei è stato imposto una sorta di part time ma che part time non è, nel senso che d’ora in poi a metà stipendio sarà in ufficio quattro ore al giorno, sempre a progetto. A detta di tutti una scelta discutibile: se già hai pochi introiti, rinunciare alla verve e alla propositività diminuendo le risorse equivale a una zappata sull’alluce.
C. ed io, uscendo fianco a fianco dalla stanza dei bottoni, passiamo davanti alle foto dei bambini indiani che, tramite un’associazione attiva in questo campo, l’agenzia ha adottato a distanza. Ha un sorriso di quelli a metà, che meglio impersonificano il sarcasmo, a seconda del punto da cui la stai osservando. “Basta privilegiare gli indiani“, mi scrive poco dopo in chat. “Mi accontenterei di essere adottata, così mettono la mia foto lì vicino all’ingresso, a fianco delle mie letterine in cui scrivo quello che faccio con i loro soldi, ringraziandoli per il fatto che mi mantengono in vita“.