Qui si parla davvero di aneddoti dal futuro. Cronaca vera da pausa pranzo. Milano, poche ore fa, in una tavola calda in zona Porta Venezia, facce più o meno note e avventori abituali. Come H. e L. e come me, nel tavolo vicino. Munito di registratore e di rilevatore mnemonico-labiale.
“In realtà, non sarà un libro sul mio futuro“. La risposta di H. è uscita a fatica, passando attraverso un bolo di gulash, ancora più a fatica può essere percepita da L. Il ristorante è gremito come ogni giorno feriale, la maggior parte colleghi di L. L. ha davanti la solita insalata mista da 7 euro, un miscuglio di roba verde, gialla e rossa affogata nell’aceto balsamico. Acqua dalla temperatura inaccessibile per entrambi. Per il resto, l’aria è satura di curry, qualche tavolo già al caffè, dipendenti in piedi che salutano dipendenti ancora seduti, dipendenti ancora seduti che rispondono consapevoli del loro stipendio più alto dei colleghi ancora in piedi. Il turno delle 12.30 contro quello delle 13.00.
“Non ho capito. Perché hai pensato a quel titolo allora?“.
H. ambisce a quella domanda, non fa fatica a giustificarsi. “Ho pensato a un uomo, il protagonista, che non ha chiuso i conti con, diciamo, i primi 40 anni che ha già vissuto. Prova una sorta di pudore per molte cose che ha fatto e non crede che raccontandole, o meglio confessandole, espierebbe. Quindi pensa di narrare una storia per bocca di un figlio. Il discendente che si fa carico dei peccati del padre. Mi sembrava una buona idea, che dici?“.
L. percepisce che H. sta parlando in prima persona. “Ma il protagonista sei tu?“.
“No“. H. beve un sorso di ghiaccio. “Sono solo il traduttore“.
“Hai letto troppo Paul Auster“.
“Può darsi. Ma stamattina ho pensato ad un vero aneddoto dal mio futuro. Ti va di sentirlo?”
“Vai“.
“Ero in treno e stavo andando in ufficio. In piedi, l’ora era quella di punta. Ho pensato a me, sono alle soglie della vita, la vita vera, quella adulta cioè, diciamo verso i 25 anni. Il momento in cui, vivendo un momento storico perfetto dove una persona a 25 anni ha appena terminato gli studi e deve solo guardarsi intorno per capire o cogliere al volo cosa fare. È anche il momento in cui se vuoi puoi renderti finalmente indipendente o mettere su famiglia. Allo stesso tempo però sei ancora un po’ ragazzo, insomma sei sul confine per diventare serio ma non lo sei ancora. Una cosa che ora succede probabilmente altrove, ma non qui, nel nostro paese. Mi segui?”
“Come no”
“Bene. Ho 25 anni, e sono con mia figlia, anche lei venticinquenne, e mia moglie, pure lei ne ha 25. E abbiamo vinto il diventare vecchi, abbiamo vinto la morte, abbiamo vinto ogni motivo per essere tristi o malinconici e non piangiamo più. Stiamo ascoltando un pezzo pop-punk. Immagina un pezzo dei Ramones. In pratica stiamo quasi pogando, ci diamo un po’ di spinte innocenti. Ma siamo tutti e tre insieme e stra-felici“.
“E…?”
“E nulla. Sono sceso dal treno. Mi sono voltato verso destra, mi stava superando un tizio con le cuffiette. Per un attimo mi è sembrato R., un vecchio amico che frequentavo più o meno a 25 anni. Non lo vedo da allora, credo. Così ho pensato che potremmo, ad un certo punto, scendere da un treno e conoscerci tutti, ritrovarci tutti, tutti stiamo andando al lavoro ed è mattina e siamo a metà febbraio”.
“Siamo a metà febbraio, infatti“.
“Esatto. Poi ho sperato che la generazione di mia figlia torni ad essere come le generazioni dei nostri padri o dei nostri nonni. Adulti a 20 anni, pronti a vivere i successivi 70 da adulti. Meno cazzoni, in poche parole“.
Questa volta è H. a pagare il conto. Poca roba, che comunque finisce in nota spese.