aldiqua

Standard

La vita, o l’esistenza di qualche cosa dopo la morte è un tema così banale che rende ogni tentativo di narrazione creativa superfluo. Non per Clint Eastwood. Hereafter, visto ieri, è un gioiello cinematografico, un film da 5 stelle che però, come scrive Curzio Maltese su Repubblica, non è solo un bel film. Il dubbio laico che si insinua dopo la visione non è tanto se esista o meno l’infinito spazio luminoso in cui si intravedono miliardi di persone quando i nostri sistemi vitali vanno in stand-by, per un istante, quindi riaccesi dopo l’esperienza del tunnel con luce bianca eccetera eccetera. La componente sovrannaturale passa in secondo piano, il vero miracolo è la nostra vita, già di per sé, ciò che si attraversa e in cui ci si cimenta. E raggiungere il traguardo non ha importanza. I tre protagonisti della storia convergono infatti in una esperienza umana, che è quella dello stabilire un contatto con una dimensione ancora fisica, la morte o la vita, si piò chiamare in entrambi i modi, che in sé comprende anche il dopo. Ma il contatto è tra corpi, anima inclusa. Collisioni che generano reazioni a catena, nella storia e nello spettatore. Aldilà siamo altrettanti che aldiqua. Che ci sia poi una cooperativa autogestita o una corporation con CEO e consiglio di amministrazione poco importa. Se il sistema si arresta del tutto, o, peggio, si tratta solo di una formattazione dell’hard disk, non ce ne accorgeremo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.